“Behemoth”: il progresso distrugge l’uomo

Ormai quasi giunti alla fine del festival del cinema di Venezia, vale la pena di rispolverare un capolavoro che l’anno scorso allo stesso Lido fu osannato dalla critica. Stiamo parlando di Behemoth, documentario del regista cinese Liang Zhao.

 

Ci troviamo nella Mongolia interna, e l’occhio del regista ci porta alla scoperta di una quotidianità di questa regione: in un villaggio, dopo la creazione di una miniera di carbone con relativa fonderia, i più hanno trovato lavoro, e hanno conosciuto la famosa parola “progresso”. Quello stesso progresso che siamo ormai soliti associare immediatamente alla Cina, un progresso che agli occhi di tutti dovrebbe essere positivo perché portatore di benessere e ricchezza… Eppure nulla in questo villaggio sembra attestare la positività di questa nuova realtà, ma se mai tutti i lati negativi di una macchina che divora e tritura gli uomini.

In tale senso, il titolo diventa metafora del messaggio politico che il regista vuole veicolare. Behemoth è infatti la creatura biblica citata nel Libro di Giobbe, l’incarnazione della supremazia di Dio. La più famosa interpretazione di tale simbolo è quella dell’Ottocento, che vedeva nel misterioso leviatano tale atroce bestia – basti pensare al personaggio di Melville, Moby Dick.

Liang si rifa a tale retaggio culturale, ma non cerca un animale al quale attribuire la volontà di Dio, non ne ha bisogno, perché il regista trova una bestia molto più feroce, e creata unicamente dall’uomo: il progresso, appunto. A differenza però della creatura biblica, ormai il mostro tutto umano ha superato le facoltà dell’uomo stesso, è incontrollabile e lo sta inghiottendo senza alcuno scrupolo.

Nel rappresentare la realtà del villaggio, Zhao vuole infatti concentrarsi sulle conseguenze che lo sviluppo ha, ovviamente quelle ambientali, ma in primis le conseguenze umane. Se infatti l’ambiente viene fisicamente distrutto, l’uomo viene sia fisicamente che psicologicamente ridotto a bestia, diventando un mero meccanismo dell’enorme macchina del progresso, una macchina più grande di lui che dona e toglie vita allo stesso tempo. È una tragedia evidente nei volti, nelle espressioni delle persone inquadrate dal regista.

Ciò di cui è capace Zhao, e ciò che più ha colpito la critica, è infatti la sua capacità di trasmettere l’emozione e la potenza distruttrice di questo fenomeno attraverso immagini di una bellezza sconvolgente, ma soprattutto distaccata, di una realtà completamente abbandonata alla desolazione. Così il film risulta in un vero e proprio viaggio dantesco, portando alla luce la vita di persone altrimenti dimenticate, in una zona così lontana e sperduta e che però rappresenta perfettamente i pericoli che tutti noi rischiamo nella società contemporanea.
Una piccola curiosità: il film è stato censurato in Cina.


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