BoJack Horseman è una di quelle serie che non ti aspetti. Dopo un paio di episodi la ritieni una comedy cinica e disillusa sullo star-system e sul senso della fama; quando finisci la prima stagione è una serie esistenzialista che ti lascia il vuoto dentro ogni volta che parte la sigla di fine episodio. Avresti mai immaginato di provare una sensazione simile di fronte a una serie di animazione con un cavallo umanoide come protagonista? Decisamente no, anche perché sensazioni simili difficilmente te le danno serie con attori veri. Quindi parliamo di questo cavallo umanoide.
L’uomo-cavallo BoJack del titolo è stato la star di un famoso show, come dice la sigla finale, terminato da vent’anni. La sua fama si è ormai esaurita ed è legata a quello che ormai è definito da tutti uno show idiota e senza valore alcuno. BoJack è profondamente depresso e alcolizzato, incapace di liberarsi dal suo loopdi autocommiserazione e incapacità di assumersi le proprie responsabilità, passando da un errore all’altro e affogando il tutto nell’alcool. Attorno a lui gravitano altri personaggi assurdi, tutti influenzati dalla sua ingombrante personalità, da un lato affascinante ma dall’altro distruttiva per sé e per chi gli sta vicino. Questi sono Princess Carolyn, la sua agente, una gatta, Todd, il suo coinquilino, e Diane, una ghost-writer incaricata di scrivere un libro su di lui che dovrebbe rilanciarne la figura.
È proprio intorno alla figura di Diane e a questo libro che ruota tutta la prima stagione. Quella che doveva essere una celebrazione di un eroe piegato ma mai spezzato diventa una biografia complessa, sfaccettata ed a tratti scandalistica, corredata dai minuziosi racconti delle confidenze più nere che il cavallo fa a quella che diventa una sua amica. Il percorso del libro diventa un po’ quello della serie e della percezione del personaggio. BoJack passa da cavallo affogato nel suo ego e nell’alcool a personaggio assolutamente umano, pieno di angoli e smussature, problemi e sogni, più vicino a una persona qualunque che a una star di Hollywood.
Tutta la serie, nell’arco delle sue tre stagioni (in attesa di una quarta in uscita la prossima estate), è un percorso di riscoperta, non di redenzione ma di miglioramento di sé, tempestato di errori ma condotto con le migliori intenzioni, come può essere quello di ognuno di noi.
Il creatore della serie, Raphael Bob-Waksberg, alla sua prima esperienza in questo ruolo, ci regala una serie piena di riflessioni, a volte forse apparentemente sconclusionate e prive di una reale organicità, ma che riflettono perfettamente l’imprevedibile e sempre sorprendente cammino dell’essere umano. Nel fare ciò è accompagnato da un cast di doppiatori d’eccezione: Will Arnett (BoJack), Amy Sedaris (Princess Carolyn), Aaron Paul (Todd) e Alison Brie (Diane). Anche la scelta dell’animazione risulta perfettamente azzeccata, riuscendo a creare, grazie alla surreale compresenza di animali e uomini, un mondo che nella sua impossibilità mostra proprio le possibilità dell’uomo.
BoJack Horseman è una serie che lascia a fine episodio un misto di tristezza, depressione e vuoto interiore, ma che riesce anche a originare riflessioni profonde sulla propria vita e la nostra società come nessuna, o poche, serie sanno fare.
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