26 luglio: padre Jacques Hamel è sgozzato da terroristi islamici aderenti ad Isis davanti agli occhi dei fedeli a Rouen, in Francia. Domenica 31 luglio: imam e fedeli musulmani affollano le celebrazioni eucaristiche della domenica, in Francia, Italia e altri paesi, su invito della comunità islamica francese.
A fronte del barbaro omicidio di padre Jacques, ai fedeli musulmani disgustati dalla violenza sanguinaria degli assassini si imponeva un gesto forte. Più forte delle campagne “Not in my name” contro il terrorismo, più forte della veritiera quanto paurosamente labile affermazione “L’Islam è pace” spesso contrapposta alle interpretazioni radicali e violente del Corano proposte da Daesh e soci.
Allora ecco un gesto forte, spalleggiato anche dall’indole propensa al dialogo interreligioso di un papa come Francesco. In molti dentro alla Chiesa hanno storto la bocca, altri si sono apertamente scandalizzati. Noi ci chiediamo: ha senso un musulmano a messa?
Perché sì
Punto primo: abbatte barriere innalzate nelle nostre menti, più che nella realtà. Un musulmano in chiesa contro i terroristi vuole dire ”noi siamo come voi, abbiamo rispetto per i luoghi sacri, quel rispetto che gli assassini di padre Jacques non hanno dimostrato con la loro cieca violenza”, e, dulcis in fundo: ” noi non ignoriamo né tantomeno ancora festeggiamo la morte di qualche cristiano o occidentale come altrove purtroppo accade.”
Punto secondo: “E se tu sei in dubbio su qualcosa che ti abbiamo rivelato, domandane a quelli che leggono la Scrittura antica“ (Corano 10,94). Il libro sacro dei musulmani pare dunque contemplare l’ipotesi di un dialogo con le “genti del Libro” (ahl al-Kitab) e di altre religioni: “Coloro che credono, i giudei, i sabei o i nazareni e chiunque creda in Allah e nell’Ultimo Giorno e compia il bene, non avranno niente da temere e non saranno afflitti“(Corano 5,69) nel giorno del Giudizio. Se teniamo conto del valore sacro del testo coranico per un musulmano… a voi le conclusioni.
Punto terzo: è un gesto visibile, tangibile, umano. Oltre la rottura della barriera simbolica della Chiesa cristiani e musulmani si trovano fisicamente vicini, a contatto, a pregare assieme per la pace e contro la violenza portatrice di morte. Perché sono le persone, con le loro storie e i loro atteggiamenti, a determinare il buon esito di un dialogo, che sia fra religioni o partiti politici o gruppi sociali.
Perché no
Punto primo: il Gesù dei musulmani non è il Gesù dei cristiani. Dio è per sua natura trascendente e uno, “non generò né fu generato” (Corano 112, 4) e quindi impensabile che abbia avuto un figlio. Oltre a negare la Trinità, i musulmani rifiutano anche il dogma cruciale del cristianesimo: la morte e resurrezione di Cristo. Non solo Gesù non sarebbe figlio di Dio ma un mero inviato (rasul), ma a morire sulla croce sarebbe stato un suo sosia. Come si fa a pensare un musulmano in una chiesa dove proprio la croce è il simbolo per eccellenza?
Punto secondo: le Sacre Scritture. La rivelazione divina si snoda per l’Islam anche attraverso le Scritture e i suoi protagonisti come Adamo, Noe, Abramo Mosè e Gesù, i cinque inviati di Dio (nell’immagine sopra, a sinistra) prima di Maometto (a destra). Ma la tradizione islamica ha spesso sostenuto che le Scritture abbiano subito una corruzione/alterazione (tahrif) da parte di cristiani ed ebrei. In particolare, si parla di Vangelo e non di Vangeli – al plurale – nel Corano, che rappresenta il perfetto compimento della rivelazione divina monoteista. E a Messa si leggono le Scritture e i Vangeli, no?
Punto terzo: l’Eucarestia. La Messa, fino a prova contraria, ruota intorno al momento centrale dell’Eucarestia, dove, secondo la dottrina cattolica, si opera la transustanziazione del corpo di Cristo: “prendete e mangiatene”, insomma. Per i musulmani i sacramenti non hanno, semplicemente ragione d’esistere, in quanto forzerebbero Dio ad opera un’azione per mano dell’uomo, quando è Dio nella teologia islamica classica a creare l’azione che l’uomo compie. Tanto più se il sacramento in questione comunicherebbe il credente con il corpo di Gesù Cristo, figlio di Dio (sic!). Se teniamo conto che l’Eucarestia è il momento centrale della Messa…Houston, abbiamo un problema.
E allora?
Allora, le distinzioni teologiche tra le religioni esistono, altrimenti non parleremmo di cristianesimo o di islam, ma di un monolite monoteistico indistinto. Un musulmano, se veramente credente, non può condividere al 100% ciò che si proclama a Messa.
Ma se teniamo conto delle circostanze contingenti, forse serve sottolineare ciò che ci accomuna più di ciò che ci divide. Il rispetto reciproco, la preghiera per la pace, la fede in un Dio unico, il ripetere che dietro la faccia di un musulmano o di un cristiano c’è prima di tutto un uomo.
Non illudiamoci però che i problemi spariscano con la bacchetta di un immaginario Mago Merlino. Sarebbe interessante individuare occasioni di preghiera comune per i credenti di entrambe le fedi. Come accade ad Assisi ogni anno, ad esempio, ma nel piccolo di ogni comunità. Valorizzare ognuno nella sua specificità, chiedendo rispetto reciproco per il paese ospitante e la sua storia ma anche per la storia di chi è diverso: è questa la strada? Forse sì, ma per percorrerla bisogna approfondire il dialogo per creare occasioni come questa. Potete, ad oggi, immaginarvi cristiani e musulmani pregare insieme in una moschea di un paese arabo? Come vedete, la strada del dialogo è ancora lunga.
Fonti:
Branca, Paolo. Introduzione al Corano, San Paolo, 1995.
Branca, Paolo. Il Corano, Il Mulino, 2001.
Campanini, Massimo. Il Corano e la sua interpretazione. Laterza, Bari, 2004
Credits:
http://goo.gl/C6hpLR(1); Muhammad leads Abraham, Moses and Jesus in prayer. from medieval Persian manuscript. Fonte: ”The Middle Ages. An Illustrated History” di Barbara Hanawalt (Oxford University Press, 1998), via Wikimedia Commons (2); Vicente Juan Masip (1510–1579) ,” Christus mit der Eucharistie” via Wikimedia Commons (3)