Luce e tenebra, divertimento e isolamento, sport e carceri. Ambiti apparentemente così lontani, diversi e talvolta in conflitto tra loro, in realtà nascondono un legame profondo e per alcuni perfino vitale. Lo sport non è semplice attività motoria, non può essere considerato solo un modo per migliorare l’equilibrio psico – fisico quotidiano; è perciò doveroso rivalutare l’antica sententia latina “mens sana in corpore sano”, secondo cui l’esercizio fisico sarebbe solo un sostegno alla più importante attività mentale e nulla di più. Oggi infatti la semplicistica opposizione della testa al corpo ha notevolmente arricchito il suo significato: entrambi gli aspetti fanno integralmente parte del processo formativo di un essere umano nella sua totalità. Il ruolo educativo dello sport consiste nell’affermare i principi fondanti della nostra società, come rispetto delle regole, senso di appartenenza ad una comunità, tolleranza, sacrificio, autonomia, solidarietà e lealtà; educare è possibile non solo a livello giovanile e in ambito scolastico, ma è anche possibile rieducare gli adulti che si trovano in un contesto particolare come il carcere. In quest’ultimo caso l’attività sportiva ha l’arduo ma ambizioso compito di guidare i detenuti verso un percorso basato sulla condivisione di valori sani che gli permetterà di riscattarsi. Fatica, impegno, correttezza, consapevolezza, relazionarsi con l’altro e rispettarlo… questi sono solo alcuni degli aspetti positivi incoraggiati.
Da tempo esistono a livello regionale progetti nelle carceri con lo scopo di offrire ai detenuti la possibilità di praticare sport e al contempo di favorirne reinserimento e migliorarne la qualità della vita. Un esempio è ‘Il progetto Sport e Carcere’ nato nel 1997 dalla cooperazione tra il C.S.I (Centro Sportivo Italiano) e il carcere milanese di San Vittore, grazie al quale è stata creata una squadra di calcio, San Victory Boys, che partecipa regolarmente al campionato con l’unica eccezione di non disputare nessuna partita ‘fuori casa’! Ora anche le istituzioni nazionali sembrano essersi rese conto della sua importanza (finalmente!), tanto che il 3 dicembre 2013 è stato firmato il protocollo ‘Sport e Carcere’ da parte del Ministro della Giustizia Cancellieri e del presidente del Coni Malagò che incentiva una maggiore attività sportiva dietro le sbarre. Questo progetto sarà inizialmente sperimentato nell’istituto penitenziario di Bologna, che ha già alle spalle una collaborazione trentennale con la Uisp (Unione Italiana Sport Per Tutti. “Attraverso lo sport, – ha affermato Carlo Balestri, responsabile delle politiche internazionali Uisp – gli istituti di pena possono tramutarsi in luoghi in cui si respira un po’ d’aria in più rispetto a quella della tradizionale ora. In contesti così complessi non ci possiamo presentare come dilettanti”. Un altro progetto – pilota unico nel suo genere è il corso per allenatori di calcio che si svolge nella casa circondariale di Potenza: nasce grazie al contributo dell’AIA (Associazione Italiana Arbitri) che dà la possibilità ai ragazzi detenuti di prendere il patentino da tecnici, identico per contenuti e impostazione a quelli ufficiali, e in futuro di allenare squadre giovanili. Iniziative di questo genere sono occasioni importanti poichè gli restituiscono la speranza di poter credere ancora nei propri sogni nonostante gli sbagli commessi, proprio come afferma Eustachio, uno dei 15 ragazzi partecipanti: “Ho la possibilità di realizzare un sogno che avevo fin da bambino, ma che per le mie scelte non ho potuto portare avanti; magari un domani allenando i giovani cercherò di insegnarli quali sono i veri valori della vita”. Intanto in attesa del patentino, un risultato è già stato ottenuto: questi ragazzi non si sentono dimenticati e il loro reinserimento nella società, dopo lo sconto della pena, è davvero possibile.
Concludendo, lo sport come momento di formazione è efficacemente riassunto nella parole di Renzo Ulivieri, presidente degli allenatori di calcio italiani: “Fare gli allenatori vuol dire essere sia allenatori che educatori perché quando uno ha pagato un debito ha il diritto di ritornare ad essere un cittadino a tutti gli effetti”.
A cura di Ottavia Quartieri