Studenti, ma anche qualche adulto, esitano, tacciono, provano ad indovinare. Chi dice che non l’ha mai studiato a scuola, chi nomina l’Unione Europea, chi la Korea, chi ripete ad alta voce il cognome, come se fosse la prima volta che sente quel nome e poi aggiunge che forse è francese e un altro ancora affermache era di destra, sì, di estrema destra. La domanda immaginabile che non si sente del giornalista che di questo documentario ne è anche il regista è: chi era Berlinguer?
E così si apre l’ultimo lavoro di Walter Veltroni, che cerca di ripercorrere la storia di Enrico Berlinguer attraverso interviste, testimonianze e filmati originali. Viene tracciata la figura di quest’uomo, mostrato il suo carisma, la sua forza, la sua leggerezza e diversità. Quella diversità che coinvolse e affascinò molti, che trasformò il concetto di comunismo per dargli un nuovo volto che riuscì ad avvicinare una quantità di persone che mai prima né dopo di lui, il partito comunista italiano riuscì ad emulare.
Si respira la voglia di cambiamento di quegli anni, quando tutto ancora poteva essere, quando c’era partecipazione viva, c’erano i cortei, i ragazzi che salutavano mostrando in aria il pugno chiuso e in quel pugno stretto e fiero c’erano i loro ideali, i loro valori, c’era il futuro che volevano vivere e contribuire a compiere.
Ma questo documentario non vuole essere il racconto della sua biografia. Berlinguer che nelle interviste sorrideva quasi sempre, che nei dibattiti politici a chi alzava la voce o lo incalzava con tono arrogante, rispondeva con un grande autocontrollo ed una compostezza che sembrano ignoti alla classe politica odierna.
Una scena che colpisce e mostra il coraggio del suo animo, è quella in cui viene mostrato il discorso che tenne nel ’77 a Mosca per il sessantesimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre di fronte ad una platea che gelida ed immobile ascolta le sue parole. E lui con la sua voce ferma, calma che non tradisce nemmeno un filo di nervosismo afferma che la Democrazia è un valore universale, che la lotta in Italia deve mirare a garantire le libertà personali e la nascita di una pluralità di partiti, facendo chiaramente intendere una presa di posizione distaccata dalle linee di pensiero che erano le fondamenta del comunismo sovietico.
A tratti risulta un po’ lungo, e la volontà di rendere l’opera più cinematografica, fa si che sembri in alcuni punti accentuatamente romanzato e la scelta di inserire le interviste finali dove i testimoni nel ripercorrere con la memoria l’ultimo periodo di vita di Berlinguer sono visibilmente commossi e la loro voce risuona spezzata, fragile mi è sembrato di violare emozioni e ricordi che forse dovevano rimanere solo dentro di chi le ha provate personalmente. Senza rendermene conto sussurravo di spegnere la telecamera, sperando che mi sentisse.
Verso la fine di questo salto nel passato, vengono mostrate le immagini del suo funerale. Da tutta Italia giunsero uomini, donne, bambini e ragazzi vestiti con qualcosa di rosso per salutarlo quell’ultimo giorno, e viene ripresa per pochissimi secondi una signora molto anziana con un foulard che le copre i capelli che con gli occhi lucidi e scuri saluta con la mano a pugno semi chiuso.
“Qualcuno era comunista perché con accanto questo slancio ognuno era come più di se stesso, era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita…”
E dopo di lui, un salto nel vuoto.
di Sarah Elisabetta Scarduzio