Stai esagerando

di Federica Tosadori

Arnia
Viviamo in celle
di cristallo
in alveari d’aria!
Ci baciamo attraverso
un cristallo
prigione meravigliosa,
la cui porta
è la luna.

Lorca

Grandi cappelli, facce cerate, risate studiate: Luna ha il vomito. Vestiti bianchi, costati un occhio della testa; occhi nella testa bianchi come quelli dei pesci. La tavola è piena di pesci: fritti, arrosto, con i pomidori, olive, caviale, molluschi. L’odore invade nasi all’insù. Delizioso, afferma la Madre. Che tavola, dice il Padre. Luna vuole solo vomitare. Vomitare l’odore dal naso, il disgusto dall’anima. E poi urlare in bocca a tutti la sua rabbia masticata, unica sostanza di cui si nutre da giorni, giorni che sono mesi, mesi come anni. Ha ricevuto in dono una coscienza, ereditata da qualcuno che non fa parte di quella famiglia che ne è priva. Osserva il muovere frenetico di dita sul tavolo, tra i piatti, le forchette addomesticate. A tratti risate e poi qualche parola vuota, per il resto silenzio e rumore di ingurgitare di pesce.

I pensieri di Luna fanno rumore tra le pareti della sua testa. Il cervello pulsa parole che lei vorrebbe gridare, ma rimangono attutite, rimbalzando come particelle impazzite nel nucleo della sua mente. Ecco i suoi pensieri: viviamo nel futuro. Tutti vivono nel futuro. Siamo tutti nel futuro di qualcun altro, nel domani lontano che qualcuno dietro di noi ha pensato. In questo futuro si parla forte, si gridano voci e tutti credono di poterselo permettere. Di potersi permettere di essere qualcuno che merita di dire cose. Bugie e odore di pesce. Solo questo esce dalla bocca delle persone che mi circondano. Non posso credere che questi individui siano la mia famiglia. In questo futuro siamo tutti ricchi, tutti felici. Questa parola viene brutalmente abusata e non ha più senso. Dopo il superamento dell’ultima grave crisi economica il mondo intero si è ripreso. I mercati di tutti i paesi si sono meravigliosamente risollevati e le definizioni “in via di sviluppo” e “in retrocessione” hanno smesso di avere valore. Nel giro di pochi anni tutto è migliorato, le condizioni generali di questo pianeta si sono pareggiate fino a giungere a un magnifico livello di benessere costante e omogeneo. Ormai non esiste più alcuna denotazione territoriale, culturale e di conseguenza economica che possa definirci. Non importa, non serve perché tanto stiamo tutti bene. Siamo tutti ricchi, siamo tutti felici. All’ennesima potenza felici. Non abbiamo alcun motivo, assolutamente alcun motivo per lamentarci.

I fratelli di Luna le vorticano intorno pregandola di andare a giocare. Sono tutti piccoli e luminosi nei loro vestiti bianchi. Il bianco è il colore dell’anno, il colore che riassume tutti gli altri colori, il colore per eccellenza, pur sembrandone la totale mancanza. L’assenza perfettamente completa. Tutti i colori sono talmente vicini, talmente amalgamati, talmente densi e fusi insieme da scomparire. Cosa ci può essere di più terribile? I pensieri di Luna come i suoi fratelli fanno davvero tanto rumore, la sua testa rischia di esplodere. Dovrei andare a giocare con loro, pensa di non dire. Non t’azzardare ad alzarti, cara, la voce della Madre fa però rumore. L’olezzo di pesce bloccato nelle narici di Luna rischia di invaderle il cervello, lo sente, ma sa di non poter resistere ancora molto a lungo nel trattenerlo. Prima o poi ce la farà a fargli puzzare i pensieri. Puzzare di vecchio, di marcio, di noia e di uguaglianza tra i popoli.

I suoi fratelli si sono allontanati, e ridacchiano sulla riva del mare. La sabbia umida tra le dita, in quello spazio molliccio da cui pare non staccarsi più: A Luna sembra di sentirla. Vorrebbe alzarsi e giocare con loro, sporcare quei suoi orrendi vestiti bianchi: la gonna corta al massimo, la giacca di pelle che copre a tratti la maglietta piena di scritte: scrosc, bam, boom, fiuu, driin. Perfino i suoi vestiti urlano, mentre lei non può farlo. A tavola, intorno al pesce, i suoi parenti parlano: grandi dibattiti sulla letteratura – il romanzo collettivo – sull’arte – foto in movimento – sulla poesia – basta andare a capo nel modo giusto, alle volte – sul cinema – grandi film psicologici, ultimamente – sul teatro – bisogna riportare la verità della vita sulla scena… Lische di pesce tra i denti bianchi, solo questo Luna riesce a sentire, tra un discorso e l’altro le pare di percepire lo sbattere delicato delle ossa di pesce sulle gengive. Immagina le spine bucare la carne e vede il sangue ancora rosso miracolosamente sporcare i tovaglioli, e poi gli abiti pacchiani, in plastica e in pelle, bianchi, della Zia, della Bisnonna, del Padre, del Cugino; sorride di questa immagine e ha quasi una mezza idea di prendere il coltello e farsi un taglio sulla pelle, sottile quando basta per imbrattare quell’orrendo quadro di un colore che sia davvero un colore, unico, singolo, solo senza gli altri, senza qualcuno che lo faccia diventare la somma di tanti, bianco.

Luna reprime il suo vuoto e si sussurra tra i suoi organi interni che finché quello spazio sarà vuoto potrà sempre essere riempito. Si consola pensando che intorno a sé le persone sono tutte convinte di averlo riempito, ed è per questo che possono permettersi di pensare che tutto quello che dicono, che tutto quello su cui dibattono sia magnificamente nuovo e avanguardistico. Il vuoto di Luna invece rimbombando le fa capire quanto tutto sia sempre un ripetersi di solite vecchie storie. Come un ritornello che ogni tanto ritorna, “ritornellando” le stesse parole. E non c’è niente di male o di strano in questo. Perché è bello e rassicurante, il ritorno, poiché solo attraverso di esso si ci rende conto di quanto si possa diventare nuovi. Bisogna però ammetterlo, bisogna accorgersi che l’intero universo ruota e “ritornella”. Dritti inconsapevoli verso l’estremo futuro non si arriva che al punto di partenza, ma con tutto il mondo dietro. Siamo nel futuro di qualcun altro, qualcuno che ha già pensato, ha già vissuto e già creato questo tempo.

E se in realtà lo sapessero tutti e non solo lei? Se non avesse lei l’esclusiva di questi pensieri luminosi come fratelli? Stanno solo recitando, fanno finta di non saperlo, non si parlano davvero, si atteggiano perché così bisogna fare: mangiare pesce, parlare di alta cultura. L’alta cultura è la cultura di tutti ormai! Siamo tutti uguali in realtà, ricchi e felici, felici al massimo, in tutti i luoghi, in tutto il mondo, e nessuno ha il coraggio di dire non è vero, io sono vuoto, sono rivestito di cristallo, in prigione. E tutti ci vestiamo di bianco e poi di nero, dipende da ciò che detta la moda. Tutti sappiamo di essere importanti, e meritevoli di dire cose. Bugie. Ognuno nella sua bolla di cristallo, anzi di diamante indistruttibile. Non c’è modo di uscirne, non c’è modo di romperla e parlare davvero del vuoto urlante in cui siamo tutti immersi. Tutti lo pensano e nessuno lo dice, nessuno può liberarsi dalla dittatura del bianco, che raccoglie tutto facendolo diventare niente.

Luna sente che sta davvero per impazzire. I vestiti sulla pelle le si appiccicano addosso, il sale le sgorga dagli occhi come zampillio di vena recisa. In silenzio si alza. La tavola ammutolisce, come i pesci muti nei piatti. Tutti la guardano con i loro occhi d’acquario. Il mare, inesorabile ondeggia, i fratelli continuano a giocare. L’aria è soffice e morbida, come se si potesse stringere tra le mani. Nessuno può capire perché capiscono tutti, e non c’è niente da dire. Siamo soli tutti insieme. Le parole di Luna ora fanno davvero rumore, e non solo dentro le pareti del suo cranio… vomita tutto, fino all’ultima squama di pesce che non ha mangiato.
Luna, stai esagerando. Le tue considerazione estreme sull’essere umano non importano a nessuno. All’unisono dal tavolo le voci di tutti i commensali fanno più rumore e lei ritorna a sedersi, al punto di partenza, come un pesce che si mangia la coda. Profondamente dentro di sé, profondamente fuori di sé sente i suoi estremi combattere e contraddirsi e ora sa che è così per tutti e tutti lo dicono senza dirlo.

 

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