Questo spazio si propone di dare voce ai nuovi e giovani poeti emergenti, che con le loro parole tentano di guidarci e orientarci verso il futuro.
La vita,
la morte,
la superficialità con cui ci approcciamo alla prima
e la fragilità con cui lo facciamo alla seconda.
Tutto è passeggero,
il sorriso sul tuo viso,
le lacrime di quella bambina che piange perché vuole un gelato,
la tristezza sul volto di quella donna che ormai è rimasta sola,
la felicità sul volto di quel ragazzo che per la prima volta si è innamorato.
Siamo qui,
su questa terra,
questa terra troppo grigia,
troppo fredda per noi illusi,
siamo qui e ci facciamo trasportare dagli eventi
come un granello di sabbia si fa trasportare dal vento.
Quel granello di sabbia arriverà lontano,
toccherà il mare,
o forse se è più fortunato toccherà il cielo.
E a noi, a noi cosa resta?
Cosa arriveremo a toccare?
Valentina S.
il testo parla di solitudine, di persone che “come granelli di sabbia” accettano di vivere la loro vita da spettatori passivi. Arrivare ad un certo punto del percorso, fermarsi, guardarsi intorno e non vedere assolutamente più nulla. Ed è lì, mentre cerchiamo di capire dove in realtà stiamo andando, che la domanda sorge spontanea: “Cosa ci resta?”. E a voi, cosa resta?
A TE
Pioggia
nuvoloni neri
sulle tue esili palpebre di piuma.
non lasciare la mia mano,
insicura come i tuoi sorrisi.
Dove sei finita?
ti sei persa in una pozzanghera di acqua sporca.
Prendi una stella
e riponila nel tuo cuore
lascia che sia lei ad illuminare il tuo volto,
da sola non ci riesci.
Soffia
urla
finché queste nubi non lascino spazio ad uccellini freschi di vita.
Asciuga la pioggia con i sogni di pezzi umidi
non con le tue lacrime
dolcezza amara,
residuo di questa vita
che ci ha portato via
troppo lontano da dove siamo partite.
A.
La poesia in questione è stata scritta per qualcuno in carne ed ossa. Qualcuno che respira, sente, vede e cerca di sopravvivere come può a questa vita. Per questo ha un tocco particolare, è leggera, quasi assaporabile. E’ una mano tesa, un modo per dire “io ci sono”. Le poesie infatti sono abbracci, sguardi consolatori, sono ancore di salvezza. Dopo averle lette, infatti, ci sentiamo meno soli. Siamo meno soli.
A cura di Anita Mestriner