La Commissione Interna per lo Sviluppo Economico dell’azienda aveva fatto un buon lavoro. Il resoconto era dettagliato e i dividendi in crescita, ma ciò che più saltava all’occhio nel bilancio d’esercizio era la nota in fondo al documento, scritta in piccolo, preceduta da un inequivocabile Don’t forget che recitava: «Procurare contenitori per la merenda». Da quando aveva aperto l’azienda, gli inservienti addetti a portare la merenda alle postazioni degli impiegati lamentavano di dover correre tra la cucina e le scrivanie decine di volte a causa dell’impossibilità di portarne più di due alla volta. Claudia e Sigismondo non volevano creare rogne, né tantomeno lamentarsi per un lavoro ben remunerato e non troppo faticoso, ma certo era innegabile che i dirigenti, in quegli anni, si fossero concentrati sulla produttività dell’azienda, tralasciando il ruolo apparentemente di nicchia occupato dai due inservienti. Tuttavia l’unica volta in cui Claudia e Sigismondo decisero di portare il problema all’attenzione di tutti proclamando uno sciopero, l’azienda si fermò completamente per tutta la giornata: quando a metà mattina gli impiegati non videro le mani familiari sospingere delicatamente il vasetto di yogurt sulla loro scrivania, fu il panico. Da allora Sigismondo e Claudia furono forniti di un carrellino per poter caricare tutte le merende e non dover fare la spola. Ma questa soluzione presentava degli inconvenienti: innanzitutto il carrello era uno, dunque dovevano alternarsi nell’utilizzo; in secondo luogo il carrello era di dimensioni discrete e non era affatto semplice manovrarlo in mezzo a scrivanie, pile di documenti lasciati sul pavimento, sedie che vagavano in cerca di un sedere e impiegati ammattiti che correvano avanti e indietro. Inoltre, dopo poco più di un mese una delle ruote del carrello si ruppe e lo rese inutilizzabile.
La settimana dopo la stesura di quel documento il Consiglio di Direzione convocò Claudia e Sigismondo per trovare una soluzione al problema ed evitare un secondo terribile sciopero. Si parlò a lungo ed entrambe le parti tentarono di tirare acqua al proprio mulino; solo dopo due tese ore di riunione a Claudia si illuminò in viso: «Cesti! Cesti di vimini!». Tra le espressioni stupite dei direttori e l’euforia di Sigismondo che si mise addirittura ad applaudire, Claudia continuò a spiegare perché i cesti fossero la soluzione migliore al loro problema: «Innanzitutto sono pratici e leggeri; non hanno le ruote, così non ci sarebbe il rischio di urtare nessuno; sono resistenti, quindi il loro costo potrà essere ammortizzato negli anni, e a ben vedere sono anche economici!». Nel vedere Claudia impegnata nella sua arringa, Sigismondo, che fino a quel momento l’aveva vista come una buona collega e compagna di avventure, vi scoprì una donna sensuale, dai movimenti leggeri e sinuosi. La sua voce era suadente e rotolava come una cascata di cioccolato fuso appena versato su una Sachertorte. Ma i dirigenti respinsero sul momento la proposta di Claudia e rimandarono la decisione alla settimana successiva.
Durante i giorni seguenti Claudia operò tutto il suo tempo libero per sostenere la loro causa tra gli impiegati e soprattutto tra i sindacalisti. Sigismondo, ormai definitivamente infatuato della sua determinazione, la seguiva come un cagnolino fidato. Nel week-end Claudia invitò Sigismondo a casa sua, per disegnare dei cartelloni da affiggere sulla cancellata all’ingresso dell’azienda. I due parlarono e scherzarono moltissimo mentre preparavano i colori e tagliavano i teli; scoprirono una fortissima affinità e lavorarono ben poco, persi com’erano in chiacchiere e sguardi equivoci. La sera della domenica erano riusciti completare due cartelloni con degli slogan che parevano loro molto d’effetto: Merenda in cesto e Il cesto è sempre in!.
Stanchi più per tutte le parole che avevano pronunciato che per il lavoro si stesero per terra affianco alle scritte ancora fresche degli striscioni. Dopo qualche minuto di silenzio le loro mani si sfiorarono e in men che non si dica, senza che nessuno dei due si rendesse conto di ciò che stava succedendo, Sigismondo si trovò sopra Claudia, labbro contro labbro. Ma subito Claudia, che aveva posato le sue mani sulle spalle di Sigismondo, lo spinse a terra con impeto e scattò in piedi urlando: «UNA STATUA!» e corse nella camera affianco. Tornò con in mano un enorme cesto di vimini e dei cilindri di cartone, mentre Sigismondo si era ripreso dallo sconquasso di quell’uragano.
«Costruiamo una colonna con sopra il cesto e la mettiamo al centro del cortile». Sigismondo acconsentì sorridendo, anche se in quel momento avrebbe voluto fare altro. Passarono un’ora abbondante a incollare i tubi e a ricoprirli di carta igienica e colla vinilica per rendere la scultura più resistente e fissarono per bene il cesto in cima, dando vita a un enorme totem in onore del loro obiettivo. Dopodiché bastò uno sguardo e si ritrovarono nudi nel letto di Claudia a intrecciare le loro braccia e tessere le loro congetture di vimini sul futuro.
L’indomani gli striscioni erano affissi ai lati del cancello d’entrata dell’azienda e l’obelisco con in cima l’enorme cesto capeggiava il cortile. Claudia e Sigismondo, arrivati mano nella mano a lavoro, furono convocati di nuovo in direzione e fu ancora Claudia che prese la parola, mentre lui la guardava completamente rapito dalle sue movenze e nel ricordo della notte scorsa vedeva il suo corpo nudo nella penombra delle lenzuola. La richiesta dei cesti fu ben accolta e Claudia e Sigismondo si stavano avviando verso la porta soddisfatti quando la voce dell’amministratore delegato li bloccò sulla soglia: «La richiesta dei cesti è stata accolta, ma la politica dell’azienda è chiara, non transige sulla pratica dell’incesto» disse con voce pacata, «voi due siete i figli degli ex proprietari dell’edificio che hanno venduto prima di morire in un incidente d’auto. Io e il resto della direzione vi abbiamo accolti, vi abbiamo cresciuti come trovatelli. Non potevamo lasciarvi in mezzo alla strada, ma neanche farvi vivere dentro l’azienda: allora vi abbiamo affidato a due ex dipendenti, garantendovi un lavoro e un futuro. Ma voi siete fratelli,» Claudia e Sigismondo, atterriti, si scambiarono uno sguardo di ghiaccio «vi abbiamo visto arrivare mano nella mano, non è che avete, per caso…» il direttore si interruppe, mentre i due inservienti sciolsero il loro sguardo e fintamente vaghi «No» dissero «ma… che cosa andate a pensare?!».
L’amministratore fece un cenno con le dita e le due guardie che stavano ai lati della porta afferrarono Sigismondo e Claudia e, aperte le finestre dell’ufficio, li scaraventarono fuori dal quarto piano, sotto lo sguardo impassibile degli altri amministratori. Della storia di Claudia e Sigismondo restava solo un enorme totem con in cima un cesto e un tabù in bilico tra il naturale disgusto e il culturale divieto di non portarsi a letto i propri fratelli.
A cura di Davide Paone