Il y a quoi à dire?
Che ho da dire? Svegliati,
sono già le sette e tre!,
svegliati, cazzo, svegliati!
Dio, sì, sì, mi sto svegliando.
La sveglia sa essere violenta a volte:
è una voce che ti pignora la testa
lasciandoti contrito tra lo sveglio e
no; ancora il metabolismo assopito.
Mi avvicendo alle ciabatte,
dentro la goccia, pietre sparse;
scende il furore caldo, l’inferno:
la doccia spegne il sonno
tra indice e pollice.
Una buona occasione per raccogliere
cocci, ossia pensieri, avvolti alle spalle
da pepli fottuti, spalancati, maniaci.
Incosciente, il fiato appena avvinghiato
alla cabina si sparge, tra motivetti scarsi.
Una melodia stretta stretta
che mi si ristagna tra le pareti.
Algido il pene sbocciato,
ruggine la pelle. Uscendo
ti capita di pensare
a quattro poeti stronzi,
lettori di loro stessi
-critici dottissimi pensatori
di banalità eccezionali, ossia
poeti del porco (tralasciamo),
accorto, ahimè, tra i loro
spezzatini di versi, poesia,
come viene viene:
c’è bisogno di contemporaneità
di lunedì, martedì, mercoledì…
e così via! C’è bisogno di oggi!
La foga dell’esser soli
spesso inacidisce la lettura,
così come la scrittura:
ti viene da elaborare
tutto ciò che non va;
rischi di passare per desueto,
se ti illudi che la poesia
possa avere voce.
Intanto mi ritrovo vestito,
pronto ad uscire, deodorato,
profumato. Chiudo la porta di casa
e ritorno sui miei passi,
stringendo tra le mani delle chiavi.
II
La mia sinfonia del giorno:
La fiumana di gente che spala
le strade con la propria miseria.
Scendere in metropolitana infine,
aspettare il treno dove sprizza, scoppia!,
un grand enveloppement des gents,
le peuple, personne heureux;
qualche morto in più scende
nell’inferno dei giorni mostruosi.
Il dispiacere dell’assenza
negli occhi di ciascuno,
anche dei più ottimisti…
forse faccio di un’erba il giardino
-un giardino appassito.
Di proposito qualche cagna mi guarda.
Io, stremato, non ricambio passione:
tracimo e leggo qualche riga
di un auturuncolo francese.
Insomma, che vada a farsi fottere!
Non la cagna, pas elle: solo la stima
che l’Italia nutre negli imbecilli.
Ora si deve scendere.
E così, via dicendo.
Victor Attilio Campagna