Al giorno d’oggi viviamo in una società sempre più globalizzata, convergente, misurabile. Con la nascita della cosiddetta “Network Society” la vita di ogni singolo individuo è cambiata radicalmente: le distanze si sono accorciate, se non addirittura annullate. Un avvenimento mediatico è condivisibile nello stesso momento in ogni parte del mondo.
Abbiamo voluto una società multietnica, multi tecnologica, super industrializzata, innovativa, competitiva, ma il risultato ottenuto ha soddisfatto le aspettative?
L’entusiasmo iniziale verso un mondo sempre più vicino e a portata dei singoli individui è andato via via scemando quando ci si è resi conto che, se utilizzati in modo negativo, questi nuovi media sono un rischio per la società stessa che li ha creati. La verità è che siamo schiavi delle nuove tecnologie. Immaginate una vita senza posta elettronica, senza Facebook e Whatsapp. Quanti riuscirebbero a farne nuovamente a meno?! Quanti sarebbero disposti a trascorrere una giornata in compagnia di un buon libro e non del rumore fastidioso e asfissiante del cinguettio di Twitter?!
La “dipendenza cyber-relazionale“
Una ricerca americana ha affermato che la maggior parte della popolazione è affetta da dipendenza cyber-relazionale:
“Questi trascorrono una grande quantità di tempo all’interno di chat room, servizi di instant messaging o social network impegnandosi in relazioni online che molto spesso portano a veri e propri adulteri. Le conoscenze fatte su internet divengono presto più importanti di quelle offline e questo tipo di dipendenza (che colpisce maggiormente il genere femminile) porta spesso ad un deterioramento nei rapporti con amici e famiglia e problemi coniugali.”
Abbiamo piattaforme e spazi dove poter esprimere i nostri pensieri, mettere in mostra talenti creando occasioni, ma se non si ha la moralità adeguata questi spazi che dovrebbero essere visti come una possibilità di libertà di espressione possono diventare minacce per la tranquillità altrui. I video di violenze sui minori che girano in rete non sono un problema della rete, che di per sé fornisce la possibilità a tutti di poter condividere materiale liberamente, ma di coloro che non hanno ancora capito cosa è corretto eticamente e cosa non lo è.
Si parla di cultura convergente, in cui i vecchi media collidono con i nuovi, in cui gli stessi utenti sono diventati protagonisti social: questi gestiscono canali, pagine,community, creano performance condivise in uno scenario globale sempre più aperto.
Se fino a qualche anno fa, quando ancora non esisteva la parola “utenti” e tutto ciò che da essa ne deriva, il pubblico era visto come una “massa” capace di interagire in parte con il programma, adesso abbiamo avuto un capovolgimento della situazione.
La cultura dello spoiling
Gli stessi fruitori di film, reality, telefilm, non si accontentano più di guardare, ma vogliono partecipare attivamente, scoprendo in anteprima notizie, dettagli che dovrebbero restare nascosti fino alla messa in onda del programma. Nasce così la “caccia alle informazioni”, un fenomeno chiamato spoiling.
Attività iniziata in America con il famoso reality show Survivor, in cui i partecipanti erano collocati su un’isola deserta e il programma, essendo registrato in precedenza, suscitava sempre più curiosità nei fan che non sopportavano di dover aspettare e volevano scoprire in anteprima tutto ciò che la produzione nascondeva loro.
Cultura partecipativa e “paradisi artificiali”
Un altro caso è quello della quattordicenne britannica Lower, che dopo aver letto Harry Potter e la pietra filosofale decise di aprire una community online dal nome The Daily Prophet: questa rappresentava l’immaginaria scuola di Hogwarts. Lower riuscì a riunire milioni di ragazzini della medesima fascia d’età che si impegnarono a sviluppare personaggi ai quali magari la Rowling non aveva dato abbastanza spazio, utilizzando addirittura i famosi “giochi di ruolo”, cioè immedesimandosi in uno dei tanti protagonisti. Era un modo per evadere dalla realtà effettiva ed entrare in un mondo virtuale simile a quello del bestseller.
Tuttavia, i risultati che vengono a crearsi sono contrastanti. Se da una parte il tutto porta ad una cultura partecipativa in cui i ragazzini sviluppano competenze linguistiche attraverso un insegnamento tramandato da pari a pari, senza alcuna mediazione da parte di insegnanti, d’altro canto gli stessi si rifugiano in un mondo “parallelo” dimenticando che la realtà è al di fuori della propria camera.
Il medium che si incorpora
Tutto questo non è forse la più spaventosa conseguenza dell’assoluto mutamento che la rete, imponendosi nella nostra società, ha portato, modificando e scombussolando ogni aspetto della vita degli individui?
Del resto, come affermava il famoso massmediologo canadese Marshall Mclhuan:
“Un medium si impone nella società fino a modificare la relazioni tra i vari attori sociali e il modo di vedere il mondo”.
Da questi nuovi strumenti tecnologici e social network bisognerebbe cercare di cogliere le opportunità e i benefici per i quali sono stati creati e allo stesso tempo lasciare che non siano al centro della vita degli individui, bensì fungano da sfondo, non invadendo la libertà e le scelte altrui. Una vera e propria soluzione non esiste. Bisogna convivere in modo intelligente.
FONTI
M. McLuhan, The medium is the message
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