L’intervista di Salvo Riina mandata in onda dalla trasmissione Porta a Porta mercoledì 6 aprile ha suscitato molto scalpore. Tra persone contrarie, persone favorevoli, persone che non giudicano, sicuramente un obiettivo è stato raggiunto: riportare la mafia al centro del discorso mediatico, perso tra fantomatiche invasioni di migranti e terrorismo di matrice islamica. Questa intervista e la sua analisi fatta da Roberto Saviano a Che Tempo Che Fa possono portare ad azzardare una similitudine proprio tra la mafia e il terrorismo dei nostri giorni, su livelli molteplici.
Efficacia comunicativa e dedizione alla causa
Saviano analizza l’intervista dicendo che un mafioso non parla mai in pubblico per caso, vuole lasciare un messaggio a diversi interlocutori: compagni mafiosi e avversari. Proprio le tecniche di comunicazione sono importanti, e in entrambi i casi – mafia e ISIS – non sono lasciate al caso. Se la mafia si serve di un’intervista in diretta nazionale per comunicare il suo messaggio – ovvero l’appoggio alla dissociazione secondo Saviano – anche il sedicente Stato Islamico utilizza strumenti mediatici per lasciare il proprio messaggio, nel loro caso di propaganda. E in entrambi i casi la padronanza è ottima.
Un’altra somiglianza tra queste due organizzazioni criminali è la dedizione alla causa. In entrambi i casi, i membri fanno parte di un grande gruppo – una famiglia, si potrebbe dire – che li porta a vivere per quell’organizzazione e – nel caso dei differenti mafiosi – a non rinnegarla neanche di fronte all’evidenza. Proprio come successo nell’intervista a Salvo Riina.
Le origini di mafia terrorismo
La somiglianza più forte, però, si trova nelle origini di mafia e terroristi islamici.
I vari movimenti mafiosi, infatti, nascono come reazione ad uno Stato percepito come lontano e disinteressato allo sviluppo del territorio interessato. Si perdono nel brigantaggio, in movimenti che cercano di colpire uno Stato Italiano distante dai problemi del Sud, che forse non riusciva nemmeno a capire. Le loro origini sono quindi da trovarsi nell’emarginazione, nell’estraniazione dallo Stato.
I terroristi che hanno colpito Parigi e Bruxelles non sono molto differenti. Sono anzitutto cittadini francesi e belgi, cresciuti in aree caratterizzate da una forte depressione economica e disagio sociale. Sono persone dalla doppia identità e ciò conduce a non averne nessuna: troppo francesi e belgi per essere considerati del paese di origine di genitori o nonni, troppo legati alla cultura della propria famiglia per essere considerati belgi o francesi. Spesso si tratta di persone senza prospettive per il futuro e facile preda di propagandisti che offrono un’identità e soprattutto un senso alla loro vita.
La violenza come strumento
Oltre a queste similitudini, entrambe le associazioni sono violente, tanto che gli attacchi dell’una e dell’altra sono innumerevoli. Si pone perciò il problema di come combatterli. Viste queste uguaglianze, si potrebbe pensare a una strategia simile: come in Italia sono stati catturati diversi capi mafiosi, così in Francia e Belgio gli esecutori degli attentati sono stati arrestati.
Questo però non basta, bisogna anche sconfiggere la rete criminale: cominciando magari a trattare questi violenti come concittadini, nonostante tutto. E cercando di risolvere i problemi economici e sociali alla radice del grande reclutamento di queste due organizzazioni, togliendo ai propagandisti la maggior parte della loro forza.
FONTI
CREDITS