Jihad, jihadismo e mujaheddin. Vi abbiamo già tediato – non troppo, si spera – qualche tempo fa sul perché la radice araba j-h-d e i termini ad essa connessi non abbiano nulla a che fare con ciò che indica la guerra stricto sensu nel mondo musulmano di lingua araba . Oggi cerchiamo di occuparci più vicino dell’ idea della santità, la domanda è: chi combatte la jihad al modo di Isis e al-Qaeda può essere considerato santo e martire, come santa è la guerra che dice di combattere?
1. I santi e il mondo musulmano
L’idea di santità nel mondo arabo nulla ha a che fare con quella di jihad: essa è infatti espressa dalla radice q-d-s che si ritrova nel nome arabo di Gerusalemme, al-Quds. Gerusalemme è città santa musulmana perché luogo dove Maometto fu trasportato nel suo viaggio notturno dalla Mecca alla Bayt al-Maqdis, letteralmente “la casa del santuario” di Dio, accompagnato dall’arcangelo Gabriele.
Questo luogo oggi è la cosiddetta moschea al-Aqsa, “la remota” (vedi immagine di copertina). Nulla a che vedere con la guerra santa, dunque. Eppure i farneticanti proclami dei kamikaze pullulano di riferimenti alla loro morte come atto di supremo martirio che garantisce un posto in prima fila nella Janna, il paradiso islamico. In effetti, non è secondario che l’idea di santità non esista nel mondo musulmano in maniera paragonabile a quella cristiana.
Non esistono nell’Islam figure che sono ritenute essere mediatrici presso Dio per i miracoli compiuti o il loro martirio. Nell’Islam l’unica figura per la cui intercessione presso Allah si può pregare è il profeta Muhammad. In ogni modo gli awliya’, gli “amici” o “benefattori” di Allah sono venerati per il potere benefico che emanano dalle loro tombe e che può contribuire a indirizzare i credenti sulla buona strada. In Iran il primo wali è Ali (nella foto sopra il suo mausoleo), cugino di Muhammad, quarto califfo e fondatore del partito (shi’a), da cui si originò la corrente sciita dell’Islam.
Nei paesi musulmani sunniti invece, gli awliya sono ricordati in paesi nei loro anniversari di nascita (mawlid), in particolare in Egitto e Marocco. A questi uomini di rettitudine, devozione e bontà furono attribuiti tre tipi di opere prodigiose: visioni, capacità di lettura del pensiero e ubiquità. Si trova qualche somiglianza con chi uccide civili inermi?
2. La violenza del Corano
Non saranno dei santi secondo la teologia musulmana, ma si autoproclamano martiri che seguono alla lettera il testo coranico. Quali basi hanno le loro affermazioni per cui la jihad è pienamente legittimata dal Corano e le loro morti ne fanno dunque dei martiri? Indubbiamente ci sono passi del Corano non alieni da riferimenti violenti:
“Uccideteli (gli infedeli) ovunque li trovate.” (Corano 2, 191).
Detto così, il verso pare una giustificazione senza ambiguità delle pretese di Daesh e similia. Ma se si tiene conto del contesto, nello specifico il verso precedente, troviamo anche:
”Combattete per la causa di Dio contro coloro che vi combattono, ma senza eccessi, ché Dio non ama coloro che eccedono.”
Di fatto questa pare una teorizzazione di stampo difensivo della jihad di cui spesso si parla: non dunque una guerra di natura aggressiva, ma difensiva. Guerra di natura difensiva che si capisce ancora meglio nel contesto dell’assedio cui era sottoposta Medina, la città del Profeta e dei suoi compagni che uscirono in battaglia a Badr per difendersi dall’assalto dei nemici di Muhammad e dell’Islam provenienti dalla Mecca.
3. Incoerenze jihadiste
Di più, l’omicidio pare essere condannato duramente dal testo coranico in riferimento alla prima vicenda omicida della storia, quella di Caino e Abele:
“[…] chiunque uccida un uomo, che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l’umanità intera. E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l’umanità.” (5,32)
Posto che nessuno degli innocenti morti, cristiano o musulmano, a Quetta, a Lahore o a Bruxelles fosse un violento o un corruttore, si potrebbe obiettare: gli occidentali morti sono figli di una società corrotta e i musulmani morti non sono veri musulmani ma reietti (takfiri), proni allo stile di vita occidentale. Con buona pace dell’idea coranica di jihad difensiva. E i musulmani morti in Siria o in Iraq, in Pakistan o in Afghanistan?
Sono reietti perché sciiti (eretici) o perché troppo lassisti per i rigidi costumi imposti dei rappresentanti di Daesh, molti dei quali ex criminali. Molti infatti, fra i terroristi, si sono conosciuti in prigione. Ma anche ammettendo che non siano ex criminali, spesso si dice che facciano uso di droghe, come il Captagon, prima di compiere i loro efferati delitti.
Cosa dice il Corano sulle droghe?
“Satana ha come solo scopo causare inumana inimicizia ed odio tra di voi, ed utilizza ciò che intossica, ed i giochi d’azzardo per distogliere il vostro animo dal ricordo di Allah, e dalla preghiera.” (5, 90)
È possibile reputare chi compie atti simili un vero martire islamico? A voi l’ardua sentenza…
FONTI
Paolo Branca, Il Corano, Il Mulino, 2001.
Fausto Ferrari, Walî. Santi nell’Islam (Maria Domenica Ferrari), Dimensione Speranza Onlus, 2004-2013