In occasione di Pitti Immagine Uomo, Tilda Swinton, attrice britannica, e Olivier Saillard, storico della moda e direttore del Museo della Moda Galliera di Parigi, hanno collaborato per la terza volta insieme. Dopo “Impossible Wardrobe” del 2012 al Palais de Tokyo ed “Eternity Dress” del 2013 al Beaux-Arts de Paris, questa volta a Firenze con “Cloakroom“.
“Cloakroom“
Quando andiamo a visitare un teatro o un museo diamo in custodia le nostre giacche e soprabiti al guardaroba.
In questa mise en scène Swinton e Saillard si calano nel ruolo di “guardarobieri” ospitando ogni visitatore calorosamente, chiedendo di lasciare un capo di abbigliamento, a scelta, nel loro guardaroba. Dopo aver preso in consegna gli abiti degli spettatori, Tilda Swinton, che indossa un elegante tubino e stiletto nere, si posiziona dietro a un tavolo di legno, unico elemento della scenografia, dando cosi inizio alla performance “Cloakroom“.
L’attrice si sofferma su ogni capo, lo annusa, lo lecca, lo indossa, lo ascolta, ci si struscia contro e gli bisbiglia qualcosa, diventando un’unica cosa con l’oggetto, prestando attenzione alla morbidezza del tessuto, del colore, della trama. Poi lascia l’impronta di un bacio, un suo capello d’oro o un bigliettino in una tasca. Dopodiché piega il capo e lo passa a Saillard perché lo appenda.
Tutto ciò appare come un atto sensualmente ed emotivamente intenso, in cui allo spettatore sembra di osservare un momento personale ed intimo.
Ogni gesto è svolto con attenzione e dolcezza, accompagnate da un po’ di ironia. Al tempo stesso risulta quasi un sortilegio, che ripete con ogni capo con lo scopo di esprimere la poesia di un “ordinario” capo d’abbigliamento.
L’abito, come in questo caso, è testimone di tutto ciò che proviamo e vediamo, di un ricordo, un momento di felicità, un’emozione, una raccolta di profumi. A volte anche di un dolore.
Questa performance rappresenta la relazione che abbiamo con i nostri vestiti. Ognuno di noi ha un capo d’abbigliamento, forse rimasto nell’armadio da un paio d’anni inutilizzato, che però non siamo disposti a buttare via perché lo associamo a dei bei ricordi.
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