Pensieri sparsi di una fumatrice

Fumo.

Ho cominciato quando avevo 17 anni, quasi 18.

Ricordo ancora il sapore della prima sigaretta, fumata a 14 anni nel cortile di una scuola elementare, con un’amica che ora non è più tale. Riesco a ricordarmi perfettamente l’amaro in bocca, il bruciore in gola e il pensiero “Non lo farò mai più”. Sembra strano, ma quello stesso giorno, tra gli scaffali di un negozio, raccontai ad un’altra amica il grande atto di ribellione compiuto quel pomeriggio, la sensazione di aver fatto qualcosa “da grande”. Fui interrotta da una signora che accompagnava un passeggino e che, sentite le mie parole, si sentì in diritto di fare la ramanzina sul fumo, che fa male, che uccide etc. Sicuramente tutto vero, ma anche ascoltare i discorsi degli sconosciuti è maleducazione.

In effetti non credo che nessuno della mia famiglia mi abbia fatto la morale sul fumo, mai. Fumano tutti, ho sempre visto tutti fumare e ho una madre sufficientemente intelligente e per nulla ipocrita. Non mi ha mai presa da parte per dirmi che non avrebbe mai accettato che io cominciassi a fumare, magari accendendosi una sigaretta. Non credo alle stronzate per cui se vedi tutti che fumano, poi fumi anche tu, se i tuoi amici fumano, allora devi fumare per forza. Io ho deciso deliberatamente di cominciare a fumare, quando le mie amiche lo facevano già da tempo e io ero “rimasta indietro”. Ma non ho di certo cominciato per questo motivo.

Ho cominciato a fumare dopo la prima delusione sentimentale. Avevo 17 anni e solo anni dopo ho scoperto che quello non era amore, ma a me faceva male come se lo fosse. Nel fumo ho trovato una valvola di sfogo per quel male che sentivo nella pancia. Non ritengo sia stata una delle scelte migliori prese nella mia vita, quella più intelligente. Ma, vi dirò, ho 24 anni e ancora non credo di essermene del tutto pentita. Perché che faccia male lo sappiamo tutti, lo so anche io.

Eppure non sono ancora in una fase della mia vita in cui riesco a tenere conto sempre delle conseguenze. Fumo, saltuariamente bevo, mangio schifezze. E faccio tutto queste perché mi piace. So anche che mangiare schifezze e un paio di sbronze all’anno non danno dipendenza, mentre la nicotina sì, ma per me le tre cose sono equiparabili: sono cose che mi piace fare anche se mi fanno male.

Quando penso al fatto che potrei anche smettere (non la ritengo una cosa impossibile, ma solo una cosa che non voglio fare) i pensieri che si susseguono sono i seguenti:

  1. E se poi ingrasso? No, non è una scusa usata dai fumatori incalliti per non smettere, è una verità fatta e finita. Perché quando ho fame ma so che uno spuntino sarebbe un “di più” che non posso permettermi, allora mi accendo una sigaretta e quella fame passa. Se impiegassi tutta la mia volontà nel tentativo di smettere di fumare non credo me ne rimarrebbe per smettere anche con gli spuntini.
  2. Poi cosa faccio nelle pause studio? Ebbene sì, le sigarette scandiscono ogni sessione d’esame. Sono le 14? Alle 15:15 fumo una sigaretta. Se tolgo le sigarette poi cosa faccio nelle pause dallo studio? Mangio? E allora torniamo al punto 1, è un circolo vizioso.
  3. Poi come gestisco l’ansia? Non c’è niente che plachi l’ansia prima di un esame come una sigaretta. Quando ti svegli al mattino, bevi il caffè e poi fumi quella sigaretta meditativa, in cui cerchi di ripetere qualcosa nella tua testa, ma ormai si è attivato il blackout della mente. Quando arrivi fuori dall’università e nella mente hai “The Final Countdown” che risuona tra i pensieri e fumi quella sigaretta più convinta che mai che sarà un successo.
  4. Poi come riempio i vuoti? L’attesa del treno, il tragitto dalla metropolitana a casa, all’università, a qualunque posto tu stia raggiungendo. L’attesa dell’arrivo di un’amica in ritardo, i viaggi in macchina d’estate, col finestrino tutto giù e la musica che esce dappertutto. Non sarebbero la stessa cosa senza una sigaretta tra le labbra.
  5. Poi con cosa accompagnerei i momenti di profonda riflessione sulla vita? Non esiste nulla al mondo che riesca a farmi concentrare come il momento in cui mi siedo sul balcone, guardo la gente che passa e intanto fumo. Sono giunta ad un sacco di conclusioni su me stessa e sul mondo, mentre perdevo tempo guardandomi in giro, fumando una sigaretta. E credo che guardarmi in giro e basta non mi avrebbe portata a capire così tante cose.

Ho molte persone intorno che non si annoiano mai, ripetendo la morale sul fumo: amiche, qualche parente, anziane signore alla fermata del tram. Il motivo che più spesso mi sento ripetere è “pensa a quanti soldi risparmieresti”. A parte che ognuno è libero di spendere il proprio patrimonio, ingente o esiguo che sia, come meglio crede. Non capisco tutti questi fantomatici soldi dove mai potrei impegnarli: se fumare limitasse qualche altro piacere della vita per cui sia necessaria una spesa (mi vengono in mente solo i libri) probabilmente smetterei. Ma siccome pur fumando riesco a comprare anche tutti i libri che voglio, la questione economica non mi tange.

Ci tengo a precisare anche che non voglio rientrare nelle polemiche generaliste riguardo i mozziconi in terra, in spiaggia, in montagna o in qualunque altro luogo: essere fumatori non implica essere dei maleducati. Ogni qual volta io sia in spiaggia o in un luogo che almeno all’apparenza appaia incontaminato, sono sempre ben munita di sacchetto in cui buttare via i miei mozziconi spenti, che poi finirà in un bidone della spazzatura.

Vivo a Milano, che grazie al cielo è dotata di un posacenere ogni 20 metri, ergo so esattamente quanti passi devo fare per poter spegnere una sigaretta senza doverla gettare in terra. Quando sono seduta al tavolino di un bar, all’aperto, chiedo sempre che mi sia portato un posacenere. Quindi smettetela di dire che tutti i fumatori sporcano: esistono i fumatori educati e quelli maleducati, così come per tutte le altre categorie di persone che potete enumerare tra gli esseri umani. Così come cerco di spostarmi se mentre fumo c’è di fianco a me una donna incinta, un bambino o un anziano. Mentre voi prima intraprendere polemiche o dispensare consigli, non chiedete proprio un bel niente.

Ho provato anche a smettere, una volta. Mi era stato regalato quel celeberrimo libro che sembrava dovesse apportare al mondo una rivoluzione epocale. Non ho fumato per qualcosa come venti ore (comprese almeno sette ore di sonno, però). In compenso ho fatto uno spuntino serale che ancora me lo ricordo bene.

La verità è che non voglio smettere di fumare. Ovviamente, come tutti, ogni tanto mi soffermo a pensare al futuro, alla mia salute. Ma il futuro non mi spaventa a tal punto da decidere di smettere di fumare adesso. Sarà un eccesso di incauto ottimismo. Per quanta informazione sui danni collaterali del fumo si possa promulgare, se conoscete un fumatore, come me, fiero di esserlo, non ci saranno discorsi che tengano; troverò sempre (o almeno per ora, nell’inconsapevolezza della mia giovane età) un motivo per cui continuare a fumare sia meglio che smettere di farlo.
E poi la sigaretta è un momento di unione, crea un sentimento di comunità, conforta e consola. Quando hai una giornata di quelle brutte, ma brutte davvero e torni a casa la sera scarica come non mai, fermarti e fumare una sigaretta rinfranca l’animo, infonde positività, ti aiuta a calmarti e pensare “Domani andrà meglio”.

Ribadisco che io ho cominciato a fumare “tardi” rispetto a quello che è lo standard attuale: anche a me dà parecchio fastidio vedere bambini che hanno da poco superato i dieci anni con una sigaretta in bocca. Sono convinta che, prima di prendere qualunque decisione, sia necessario essere informati, sapere ciò a cui si possa andare incontro e poi, solo in quel momento, prendere una decisione. Nel caso del cominciare a fumare, rimane una pessima decisione a qualunque età la si prenda, certamente, ma una pessima decisione informata e consapevole è comunque migliore di una pessima decisione presa per seguire “la massa”. Perché a quel punto non stai più decidendo nulla, ti stai omologando e nella maniera peggiore in cui tu lo possa fare, ossia mettendo a repentaglio la tua stessa salute per essere accettato in un gruppo.

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