“La salute prima di tutto.” Un modo di dire diffuso.
Per dar ragione a questa espressione di senso comune, dunque, non si dovrebbe badare a spese, pur di stare fisicamente il meglio possibile. Non dovrebbe essere un gran problema pagare 25 euro per farsi visitare se si sta male lontano dagli orari d’ufficio dei medici di base. Non dovrebbe essere troppo difficile accettare di pagare delle tasse in più, per avere servizi più efficienti.
Le condizioni del sistema sanitario italiano
Eppure nei soli due anni dal 2009 al 2011 la percentuale di chi si è dichiarato disposto a tali sacrifici economici in Italia è calata dal 57% al 12%. E continua a calare.
La crisi ha spinto a tagliare anche sulla Sanità, riducendo i posti letto in ospedale sino a 4,2 ogni mille abitanti (con uno standard europeo di 5,5). Le sovvenzioni dello Stato arrivano alle aziende ospedaliere in base agli interventi effettuati su ciascun paziente. Non in base ai giorni di degenza necessari al paziente per essere dimesso.
Così si sono verificati casi come quello della Clinica Santa Rita (ottobre 2010), in cui si eseguivano interventi inutili (talvolta anche invasivi) per il solo scopo di ottenere finanziamenti.
Un certo grado di indipendenza è stato poi delegato a regioni e comuni, nella speranza che un’amministrazione delocalizzata desse più possibilità di controllo e fornitura di servizi più immediati.
Questo continua però a portare a uno squilibrio fra i servizi sanitari offerti al Nord e quelli al Sud e a differenze sostanziali anche fra un ospedale e un altro della stessa area geografica. Ad esempio gli screening genetici neonatali, grazie ai quali si possono scoprire malattie genetiche in tempo, sono effettuati in numero differente anche da regione a regione.
Chi può permetterselo economicamente, preferisce andare a ricevere cure nelle aziende ospedaliere più conosciute. Ad esempio in grandi città come Milano, oppure approfittare di servizi privati offerti con conti più salati dei cosiddetti “ticket”.
Si sentono spesso lamentele riguardanti i lunghi tempi d’attesa per visite specialistiche o esami. Non si deve tuttavia evitare di parlare anche della velocità (e della gratuità) con cui si muovono ambulanze e altri mezzi di soccorso in caso di emergenza. Anche questo tipo di servizio è gestito da organizzazioni quasi sempre private in convenzione con lo Stato o con enti locali. Presso tali associazioni però non operano solo dipendenti, ma anche e soprattutto volontari non necessariamente impiegati nel settore sanitario.
Il sistema sanitario statunitense e la riforma Obama
Non ovunque nei paesi sviluppati le cure mediche sono dovute a tutti. Esistono sistemi sanitari in cui si richiedono cifre dell’ordine dei migliaia di dollari anche per pochi giorni di degenza. Il sistema statunitense, ad esempio, prevede che sia quasi sempre necessario aver pagato regolarmente e saporitamente un’assicurazione sanitaria privata, per poter ottenere prestazioni sanitarie. Per quanto grave sia la propria condizione. I prezzi imposti da tali assicurazioni, infatti, variano al variare delle condizioni dei pazienti. Questi si ritrovano a dovere somme più alte proprio in conseguenza al loro stare male.
Questo sistema dava spesso luogo a situazioni di dilemmi etici. Per diminuire questi problemi, nel 2010 il presidente Obama ha attuato una riforma del sistema sanitario.
Tra i vari provvedimenti, tale riforma estende la tutela del servizio Medicaid (copertura assicurativa a prezzi ridotti per le fasce economicamente più deboli) a un maggior numero di cittadini, richiede ai datori di lavoro di contribuire almeno in parte alle spese mediche dei loro dipendenti e impone a tutti l’adesione a una assicurazione sanitaria. Con multe salate come pena. Infatti, un problema comune era anche la decisione di non assicurarsi affatto solo per risparmiare. Resta, però, la questione che chi si ritrova a dover scegliere di non spendere neanche per la propria salute (e ce ne sono ancora) non avrebbe certo il denaro per pagare la multa richiesta.
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