“Pride and Prejudice and Zombie”: ne abbiamo davvero bisogno?

E’ cosa nota e universalmente riconosciuta che uno zombie in possesso di un cervello debba essere in cerca di un altro cervello.” (Pride and Prejudice and Zombie)

Questa è una delle frasi preannunciatrici di “Pride and Prejudice and Zombie” uscito nelle sale cinematografiche italiane il 4 febbraio 2016. Il film è tratto dal romanzo omonimo di Seth Grahame-Smith. L’idea alla base è quella di fondere la classica storia creata da Jane Austen con elementi dell’horror moderno, come appunto il mondo degli zombie.

Nel cast: Lily James (“Downtown Abbey”, “Cinderella”), Sam Riley (“On the road”, “Maleficent”), Bella Heathcote (“Dark Shadows”), Jack Huston (“La risposta è nelle stelle”, “American Hustle”), Matt Smith (“Doctor Who”), Lena Headey (“Game of Thrones”, “I fratelli Grimm e l’incantevole Strega”, “300”, “300: Rise of an Empire”), Charles Dance (“Game of thrones”, “Child 4”, “The imitation game”) e Douglas Booth (“Posh”, “Romeo and Juliet 2013”).

Il trailer: personaggi in abiti tipici della moda inglese del primo Ottocento combattono contro gruppi di zombie in acrobazie degne dello stile di Tomb Rider, il tutto accompagnato dalle frasi celebri dell’opera originale riadattate a questo bizzarro contesto – proprio come quella sopra citata. Naturalmente, oltre a ciò c’è anche la storia d’amore e di diffidenza che conosciamo, anche se in forme decisamente nuove.

L’Effetto, a questo punto, è sconcertante.

Pride and Prejudice and Zombie“: ne abbiamo bisogno?

E qui la domanda sorge spontanea: ne abbiamo davvero bisogno? Perché andare a rimaneggiare una materia già buona così com’è? Perché si tentano riadattamenti di opere già autonomamente riuscite? Non possiamo accettare che qualcosa vada bene per il contesto in cui è stata creata, senza che abbia necessariamente elementi del contemporaneo? Sembra che ci riesca impossibile mantenere un contatto con qualcosa di bello, ma antico, se non lo trasportiamo e lo adattiamo ai generi contemporanei.

C’è un’altra questione non indifferente: il genere horror. Gli zombie, gli eserciti di morti viventi che hanno perso ogni capacità di giudizio razionale e di sensibilità e che hanno come unico desiderio e scopo quello di divorare carne viva. Ultimamente, gli zombie sono i protagonisti di molti film (“Dellamore Dellamorte”, “Resident Evil”, “War World Z”, “Io sono leggenda”): cambiano le modalità in cui si spiega l’esistenza di queste creature, ma la sostanza è sempre quella, cioè la loro fame di altri esseri umani e il problema di doverli in qualche modo sconfiggere.

Sicuramente, la “zombie mania” è una tendenza di quest’epoca, dovuta alla fioritura del genere horror; ma l’uso ripetitivo e quasi ossessivo della tematica degli eserciti di cadaveri viventi non può passare inosservato. Perché, tra le molte creature orride, sono gli zombie ad avere un così eclatante successo? L’industria cinematografica vuole passare un messaggio o sta solo cercando di sfruttare il più possibile quella che sembra essere la tendenza più in voga? Infatti, lo zombie mangia-cervelli potrebbe essere una buona metafora personificata dell’azione dei media e dell’industria del consumo sui consumatori. Ma, in fondo, all’alba dell’anno 2016, non siamo tutti consapevoli ormai del nostro ruolo in tutto questo? Non siamo dei prosumer, cioè consumatori ma anche produttori dei beni di consumo?

O forse può esserci, in un inconscio e quasi impercettibile substrato, una determinata concezione della morte? Dopotutto, tutti conosciamo la profezia del giorno del Giudizio Universale: ci hanno insegnato che Dio giudicherà i vivi e i morti poiché il confine tra vita e morte non esisterà più. Saremo tutti egualmente posti a giudizio. “Chi crede nel Figlio di Dio non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio” (Giov 3,18).

In un Occidente molto poco timorato a livello religioso, forse un certo timore è tuttavia sopravvissuto. Infatti, se non si crede che dopo la morte ci sia un regno di Dio, in cosa si può credere? Stiamo forse sperimentando una crisi esistenziale che non vogliamo vedere? Può essere, come può non essere. La verità è che potremmo avanzare molte e molte ipotesi, tutte ugualmente probabili e improbabili al tempo stesso.

Intanto, qualunque sia la causa della sua nascita, “Pride and Prejudice and Zombie” è nelle nostre sale. Si dovrebbe andare o no a vederlo? Questo dipende. Ne abbiamo bisogno?

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