Date le stragi m’è venuto a pensare
quanto sia paradossale definire strage
da guerra o omicidio da assassinio…
non per retoriche neofite, né per piaggeria:
qual è il limite difficile dirlo,
perché è tutto così sottile quaggiù,
dove la morte e la vita combaciano
in un pianale di nanosecondi,
frazioni di frazioni di vita, emivite
tra le vite, che ci si potrebbe incarnare
anche in un nucleo si volesse esagerare.
In questa complessità, stratificazione,
chi può dire in definitiva il significato della terra
della morte? Nessuno.
Fatto sta che fossi nei conduttori di telegiornali
non mi asterrei dal dire che per ogni vittima
dovremmo contare gli anni che ha vissuto,
assieme alle epoche d’amore, di padre, madre,
contare giorno per giorno la vita. Solo così
daremmo valore alla morte, col tempo trascorso,
col passato e le sue prospettive.
Perché solo di questo colonnato vale la vita.