“Papà, che ne facciamo di quei libri?”
“Non saprei, tesoro.”
Scatole, scatoloni, vernici, polvere, oggetti dimenticati: in un trasloco un po’ rocambolesco, lì incontro Carmen Covito.
Il titolo mi rapisce gli occhi, subito dopo, la copertina, un quadro ben poco lusinghiero di Otto Dix: “Donna sdraiata su pelle di leopardo”. Lo accompagno a casa: ha le pagine ormai ingiallite dal fumo e dal tempo e trovo persino un cordoncino di stoffa allegato al libro, un segnalibro.
Adesso, cose così, non ne fan più.
La bruttina stagionata, Carmen Covito
Questa è un’allegra commedia densa di sarcasmo, da leggersi ogni sera, per scrollarsi di dosso il grigiore. Marillina Labruna, donna sui quaranta, figlia di una Milano livida e ferina, si guadagna da vivere scrivendo tesi di laurea per altri. Non è bella, non è sensuale, non è accattivante, anzi, peggio, è soltanto bruttina. L’unica arma che le resta? L’ironia.
Libro magistrale. Non solo tratta di argomenti femminili con un cipiglio che di dolce ha poco o nulla; il testo affronta le paure che tutte le donne si trovano a percepire, appena oltrepassata la pericolosa e pericolante soglia dei quaranta: la solitudine, l’invecchiamento, il sesso. Il tutto ricamato su di un personaggio finemente cesellato: sardonico, vitale, intimo. Marillina è tutto questo.
Se solo si fosse chiamata Marilyn, la nostra protagonista, e fosse vissuta in America indossando per dormire solo Coco Chanel, forse la sua vita sarebbe andata diversamente; e invece, eccola lì, a destreggiarsi tra i drammi quotidiani dell’essere donna brutta, ma intelligente, in un mare di bellezze accecanti, di voci assordanti e uomini furbi, con la mano sempre sulla zip dei pantaloni.
Come un’Alice ben fornita di humour e stupore, Marillina si addentra nel paese del congiuntivo-che-non-c’è, strappando sorrisi e riflessioni ad ogni voltare di pagina.
Così esordisce Carmen Covito, nel 1992. Una concertazione linguistica che lascia gli amanti del bell’italiano con un sorrisetto stampato in viso: le parole si articolano con scorrevolezza leggera, ma pur sempre impegnata, disegnando un quadro della Milano anni ’90 che ben poco, o forse fin troppo, lascia all’immaginazione, tanto è ben descritto.
Ciascun personaggio è intarsiato fin nei minimi dettagli, la trama sempre interessante; Carmen Covito ha saputo fare ciò che spesso manca a molti scrittori anni 2000: imbrigliare.
Con tutto questo miscuglio di reagenti precisi, l’autrice crea un preparato al quale è difficile resistere, mai noioso, mai statico.
Una bomba molotov, lanciata e da lanciare contro i muri della bellezza a tutti i costi.
In una parola: sardonico.
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