Cerco pezzi di me

Di solito non mi piace parlare di me o di quello che faccio, ovvero scrivere poesie.

La metà delle persone che conoscono non sa nemmeno che scrivo poesie.

Lo tengo nascosto, come se fosse una vergogna, o se proprio devo rivelarlo a qualcuno dico sempre prima: “ti prego non ridere”.

Come se fosse normale ridere delle passioni altrui.

Alle medie avrei voluto avere un altro talento, che ne so, tipo essere brava negli sport, o eccellere in matematica.

E invece scrivevo temi da 9 e ridicole poesiucole che poi lasciavo a marcire nei miei cassetti.

Così la mia infanzia e la mia adolescenza non si sono svolte nei campi di pallavolo o sotto la luce di chissà quali riflettori, ma tra i libri di poesia, alla scoperta di persone umane, sensibili e vere.

Chissà perché proprio la poesia?

Chissà perché sono più brava a mettere parole in fila che a risolvere disequazioni?

Sinceramente non lo so, ma sono sicura, adesso, di aver capito quanto io sia fortunata ad essere capace di mettere tutta me stessa in un foglio e di comprimerlo in 20 righe.

Ecco perché sono qui.

Sono una ragazza di 20 anni, come tante.

Sono esattamente come la maggior parte dei miei coetanei.

Quando mangio il gelato mi sbrodolo, peggio di una bambina di cinque anni.

Canticchio sotto la doccia.

Storco il naso ogni volta che mi guardo allo specchio.

Ballo da sola in camera.

Parlo con il mio cane.

Rido spesso.

E piango spesso.

E sì, scrivo poesie.

Per cui, spero che impariate ad apprezzarle e anche se non vi piacciono, lasciate un commento, sarà sempre ben accetto.

 

Cerco e ricerco

piccoli segni della mia esistenza

sparsi qua e là,

tra rosee carte

o fogli ingialliti dal tempo.

Dicono tutti la stessa cosa.

Che sono viva.

Riportano tutti gli stessi segni anagrafici.

Il colore degli occhi

e quello dei capelli.

Alcuni hanno segnati la mia altezza,

altri il codice fiscale.

Quasi tutti però

restano muti

alle mie ripetute domande.

Ditemi chi sono!

Chiedo furibonda.

Apritemi

e svelatemi il perché

della mia esistenza.

Trasformatevi

in fedeli cartine

e indicatemi la strada giusta.

Parlatemi di me.

Invece loro,

se ne stanno in silenzio,

muti.

Chiusi in portafogli sgargianti,

in bustine di plastica,

o in cartellette colorate

non fanno

che ripetere silenziosi

le stesse cose.

Mi dicono che sono nata

in un luogo di cui non ho ricordi.

Ribadiscono

che il colore dei miei capelli

è naturale

e che da piccola

non portavo gli occhiali.

Ci sono attaccate piccole foto

sgualcite.

Una me sorridente mi guarda

da un passato polveroso

e malconcio.

Non ha risposte alle mie domande.

Sorride soltanto,

serenamente.

 

Si tratta di numeri.

O semplici dati anagrafici.

Serve solo questo per capire chi siamo?

Sesso: femmina.

Anche se a volte ero

femminuccia,

donna,

bambina,

classica femmina isterica.

Hai le tue cose?

Altezza: non pervenuta.

Occhi: l’importante è che siano due.

Età: a tratti dieci,

poche volte quaranta,

Alcuni per scherzo dicono ottonata.

Certe volte trenta,

ma quasi mai venti.

Anita Mestriner 

 

credits

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