Propaganda, sport, politica: da Carnera a Mandela

Spesso lo sport è stato – e continua ad essere – un prezioso elemento di propaganda politica e ideologica perché fa presa su quel sentimento nazional-popolare da cui la maggior parte dei cittadini è suggestionata. Non lo si può più considerare come un’ordinaria preparazione militare come avveniva qualche secolo fa, né tanto meno lo si può ridurre ad una semplice attività di svago.

Lo sport ora può avere il compito di dimostrare la validità e la supremazia di una determinata ideologia per raggiungere il più ampio consenso popolare possibile. Questo processo è possibile perché lo sport, per la sua natura volgare, è in grado di coinvolgere ed esaltare ampi e diversi gruppi sociali. Così come sosteneva il sociologo francese Gustav Le Bon, per ottenere consenso bisogna intervenire in tutti quei settori sociali, anche i più volgari, ma che sono quelli che permettono di controllare, sottomettere e manipolare un individuo.

E’ interessante capire in che modo il ruolo dello sport sia cambiato. In particolare come gli uomini di potere se ne siano abbondantemente serviti per far valere le loro opinioni e prese di posizione.

Durante il ‘900, secolo bellicoso e sanguinario, le guerre erano combattute sul campo con armi, carri armati, bombardamenti aerei e battaglie sottomarine, ma non solo. Infatti, guerra significava anche scontro psicologico e propagandistico, nonché lotta per il consenso. In tal senso anche lo sport finì per fungere da “surrogato” della guerra armata: cambiano i mezzi ma non le finalità.

Sport ed educazione fisica nell’Italia fascista

Negli anni del ventennio fascista Benito Mussolini intuì fin da subito l’importanza dell’attività fisica come strumento di propaganda politica e quindi anche come veicolo per quel “consenso autoritario di massa” sul quale aveva basato il suo regime. Con la riforma dell’istruzione varata dal Ministro Giovanni Gentile nel 1923, in accordo con il Ministro della Propaganda Galeazzo Ciano, l’educazione fisica passava sotto l’organizzazione di un organo indipendente, l’ENEF (Ente Nazionale per l’Educazione Fisica).

Tutti gli studenti italiani dovevano essere inseriti in organizzazioni giovanili, come ‘L’Opera Nazionale Balilla’, alle quali veniva affidata la totale preparazione fisica e morale dei ragazzi. Atleti come il pugile Primo Carnera – divenuto campione del mondo di pugilato tra pesi massimi nel 1933 – dichiarò subito dopo la vittoria:

Offro questa vittoria al mondo sportivo italiano, giubilante e orgoglioso di aver mantenuto la promessa fatta al Duce”.

Anche lo stesso ciclista Learco Guerra, soprannominato “la locomotiva umana”, dedicò molti dei suoi successi al regime e alla patria. Ma fu soprattutto il calcio lo sport che entrò a far parte di quel meccanismo attraverso cui il regime tentava di assicurarsi il consenso politico delle masse. Esso venne opportunamente manipolato, divenendo da semplice passatempo quale era a strumento per la costruzione di un’identità nazionale fiera e orgogliosa. Il culmine di questa politica del consenso furono i Mondiali di calcio del 1934, organizzati in Italia e vinti dalla nostra nazionale: un’altra opportunità per mostrare al mondo intero la “potenza” del regime fascista.

Il ruolo dei Giochi olimpici nel ‘900

Nel corso del tempo si sono succeduti molti altri episodi degni di nota in materia di sport e propaganda politica.

Tra questi, si possono ricordare le Olimpiadi di Berlino nel 1936, evento celebrativo dell’ideologia nazista ed esaltazione della razza ariana. Con l’aggiunta però dell’inaspettato caso di Jesse Owens, l’atleta statunitense di colore che vinse ben quattro medaglie d’oro nelle disciplina maestra, cioè la corsa.

Durante il periodo della guerra fredda ricordiamo invece il massacro alle Olimpiadi di Monaco 1972, nel quale perse la vita l’intera squadra olimpica israeliana. Oppure la protesta delle madri di Plaza de Mayo ai Mondiali di Argentina 1978, che portò all’attenzione del mondo intero la questione dei desaparecidos, favorendo in questo caso la caduta della dittatura di Videla e non il rafforzamento della sua immagine.

Lo sport che unisce: da Nelson Mandela alla UEFA

Lo sport però non sempre è stato usato a livello propagandistico per attirare consenso e manipolare, ma anche per unire e integrare interi popoli. È questo il caso di Nelson Mandela. Il leader anti-apartheid, infatti, servendosi del rugby, sport nazionale sudafricano, ha cercato di trasmettere ad ogni suo concittadino i valori di integrazione, tolleranza e rispetto, in virtù del superamento dell’odio tra bianchi e neri.

Un’altra operazione sportiva a favore di una causa positiva, come la lotta al razzismo, è portata avanti fortemente dalla UEFA. L’organo di governo del calcio europeo, infatti, è impegnato nella diffusione di messaggi di tolleranza zero verso le discriminazioni, in favore del rispetto della diversità.

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