Con il termine cyborg (contrazione dell’inglese cybernetic organism, “organismo cibernetico”) si indica l’unione tra elementi artificiali e organismi biologici. Il termine fu coniato da Manfred Clynes e Nathan Kline nel 1960, in riferimento alla loro ambizione di creare un essere umano potenziato che riuscisse a sopravvivere in ambienti extraterrestri.
Nell’immaginario collettivo, al termine cyborg vengono spesso associate immagini apocalittiche e futuristiche di robot con istinti omicidi verso il genere umano, degni dei più grandi registi fantascientifici. Eppure, adesso il confine tra essere umano e cyborg sembra essere più sfumato. Basti pensare ai progressi tecnologici in ambito di protesi e organi artificiali: tecnicamente, una persona dotata di pace-maker potrebbe corrispondere alla definizione di cyborg.
Il caso di Neil Harbisson e l’Eyeborg
Prendiamo il caso di Neil Harbisson, artista britannico affetto da acromatopsia. Si tratta di una rara forma di daltonismo estremo che gli permette di vedere il mondo solo nelle varie tonalità di grigio.
Nel 2003, dopo aver assistito ad una conferenza sulla cibernetica tenuta da Adam Montandon, volle incontrarlo per spiegargli la propria condizione. Da quel momento iniziarono a lavorare insieme al progetto dell’Eyeborg.
L’Eyeborg è un’apparecchiatura composta da una telecamera, montata sulla testa, che coglie i colori e li converte in onde sonore. Ad ogni suono è attribuito un colore: i colori ad alta frequenza hanno suoni acuti, quelli a bassa frequenza hanno suoni più bassi. Inoltre, lo strumento permette di “ascoltare” i colori che superano i limiti della percezione umana, come l’infrarosso e l’ultravioletto.
Harbisson incontrò anche difficoltà a rinnovare il suo passaporto, poiché la foto era rifiutata a causa della comparsa dello strumento elettronico sulla sua testa. Harbisson ribatté dicendo che l’Eyeborg doveva essere considerato parte del suo corpo perchè, ormai, era diventato un “cyborg“.
Dopo un po’ di riluttanza, le autorità accolsero la sua richiesta. Harbisson diventò allora il primo “cyborg” ufficialmente riconosciuto: a sostegno della sua tesi infatti, Neil affermò che ormai la cibernetica aveva creato un nuovo tessuto neuronale nel suo cervello.
“All’inizio– ha spiegato Harbisson – ho dovuto imparare a memoria i nomi di tutti i colori e le note, e dopo qualche tempo tutte queste informazioni sono diventate percezione. Quando ho iniziato a sognare a colori, ho sentito come se il mio cervello ed il software si fossero uniti in una cosa sola”
La cibernetica degli arti artificiali
Un altro campo in cui la cibernetica si sta facendo largo, ottenendo ottimi risultati, è quello della sostituzione di arti umani con arti artificiali. È il caso di Claudia Mitchell, ex marine che nel 2004 perse un braccio a seguito di un incidente motociclistico.
Fu la prima donna a sottoporsi ad una tecnologia senza precedenti, ossia “l’innervazione muscolare mirata”. Il chirurgò che la operò, Todd Kuiken, del Centro di Riabilitazione di Chicago, adoperò un metodo del tutto alternativo: collegò i nervi della spalla, che governano il braccio, ad alcuni muscoli ancora intatti nel petto della paziente, lasciò che i nervi crescessero nei muscoli e ne diresse le segnalazioni a degli elettrodi collegati al braccio bionico.
Con la mente, Claudia imparò a muovere il braccio in totale disinvoltura, proprio come avviene, in modo automatico, con gli arti vivi.
Ciò che sorprese di più Claudia però, fu l’accorgersi che accarezzando la fascia muscolare innervata nel petto, riusciva ad avvertire la sensazione di toccarsi il braccio. “Mi sentii di nuovo normale”, ha dichiarato. La sua gioia fu tale che decise di dedicarsi appieno ai reduci di guerra della Clinica Militare Walter Reed, a Washington, per dare conforto e consiglio a chi ha dovuto subire, a causa di ferite di guerra, la perdita di un arto.
La testimonianza di Claudia Mitchell, come quella di tanti altri, aiuta a presagire grandi passi in avanti in ambito scientifico, volti a migliorare la condizione della vita di chi si è visto privare di una parte del proprio corpo, a causa di guerre o – come molto spesso accade – anche a seguito di banali incidenti domestici.
Non resta che aspettare e vedere quanto in là l’uomo vorrà spingersi nel tentativo – da sempre motore dell’agire umano – di riuscire, con l’intelletto, laddove la natura umana è risultata fallace.
FONTI