La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla
dal di fuori o nell’aldilà.
Non avrai altro da fare che vivere.La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro il muro, ad esempio, le mani legate
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli altri uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla è più bello, più povero della vita.Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte,
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.
Nâzım Hikmet-Ran, (Salonicco 20 novembre 1901, Mosca 3 giugno 1963) fu un poeta, scrittore e drammaturgo turco naturalizzato polacco. Nacque sotto l’impero Ottomano da una famiglia aristocratica, il padre un diplomatico, e la madre amante dell’arte, dalla pittura alla poesia.
Hikmet iniziò a scrivere a soli quattordici anni, avendo come punto di riferimento il suo insegnante e altri poeti turchi. Dovette abbandonare l’insegnamento perché ritenuto scomodo data la sua pubblica denuncia del genocidio armeno, e si rifugiò in Russia dove fu conquistato dall’ideologia comunista.
Ritornato in Turchia, fu arrestato per affissione irregolare di manifesti politici, e durante il tempo passato in carcere scrisse 9 libri di poesie che introdussero nella poesia turca l’enorme innovazione del verso libero. Morto Ataturk, ammiratore della sua poesia, fu soggetto a varie critiche dovute al suo attivismo politico, e subì non solo la censura, ma anche la tortura fisica.
Durante la dura prigionia uno sciopero della fame di quasi 20 giorni provocò dei problemi cardiaci che lo avrebbero portato alla morte. Una commissione internazionale composta tra gli altri da Tzara, Picasso, Neruda e Sartre nel 1949 riuscì a liberarlo, non evitandogli però l’organizzazione da parte del governo di due attentati alla sua vita.
Chiese asilo politico in Polonia, acquisendone la cittadinanza, ma fissando la residenza in URSS, dove non riuscì mai ad essere raggiunto dalla moglie e dal figlio per divieto del governo turco.
La poesia di Nâzım Hikmet-Ran
L’incipit è immediato, e duro, come se il poeta parlasse a chi sta sprecando la sua vita lasciandola scorrere senza succhiare la vera linfa vitale. La vita non è uno scherzo, non bisogna toccarla con leggerezza, bisogna infilarcisi prepotentemente con coscienza: prenderla sul serio.
E sono due le costanti della poesia: la negazione, e l’imperativo. La negazione di una visione superficiale dell’esistenza, l’imperativo di coglierne il significato più profondo. E quale sarebbe? La poesia è stata scritta da Hikmet durante la lunga prigionia che fisicamente l’ha logorato, ma mentalmente ha reso più chiaro il nocciolo nascosto nel frutto della vita. La poesia è un inno alla vita, non a quella fatta di ricchezze e agi, ma alla vita in quanto tale, nella sua essenza. La vita è lo scoiattolo che non si aspetta nulla, dall’esterno o dall’aldilà, perché è importante vivere, senza arricchire troppo questo dono fino a dimenticarlo.
La vita è pensare al prossimo, pensare agli uomini che verranno, anche a costo di lasciare questa vita, prigioniero legato o scienziato costretto. È piantare ulivi non per creare un giardino che cresca, ma per creare più vita, credendo più alla vita che alla morte.
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