Donald Trump e la sua politica estera

Non passa giorno in cui Donald Trump non faccia parlare di sé. Il candidato anti-sistema nelle primarie del Partito Repubblicano è sempre più vicino a vincere la nomination per la Casa Bianca. Ma oltre agli slogan ripetuti allo sfinimento come litanie, quali sono le posizioni riguardo la politica estera di questo imprenditore che sa parlare alla gente in maniera diretta?

La politica estera di Donald Trump

Se Donald Trump fosse eletto presidente, vedremmo un radicale cambiamento nella strategia degli Stati Uniti. Stando alle sue parole, Putin diventerebbe un amico con cui collaborare, gli interventi militari (in Siria e altrove) diminuirebbero drasticamente, così come il supporto all’Europa. Pur nella sua mancanza di profondità e di analisi non commetterebbe errori gravi.

Una riappacificazione tra Russia e USA potrebbe portare a una collaborazione per risolvere il conflitto siriano attraverso una politica estera più prudente e meno aggressiva, che è forse quanto di meglio il resto del mondo possa aspettarsi. L’eccessivo interventismo americano è infatti riuscito a sostituire il governo di dittatori con altri dispotismi, a volte persino più crudeli dei precedenti, e ha portato solo maggiore caos nella regione mediorientale. Gli attuali Iraq, Siria, Libia, Stati senza padrone in cui porzioni di territorio sono in mano a gruppi jihadisti, lo dimostrano. Esportare democrazia come una comune merce, abitudine americana, non ha chiaramente funzionato.

La visione politica trumpiana

Certo, a questo minore interventismo bisogna opporre la visione del mondo trumpiana, ammesso che questa sia coerente ed esista, cosa non scontata. Secondo un argomento caro a Samuel Huntington e al suo libro “Lo Scontro di civiltà, la religione sarebbe la maggiore fonte di conflitto nel XXI secolo, e quindi il mondo occidentale sarebbe in perenne conflitto con il mondo musulmano, tesi condivisa da Trump.

Queste convinzioni, ripetute allo sfinimento nei discorsi pubblici, porterebbero solo a nuove tensioni e scontri, nonostante il minore interventismo proposto da Trump. Inoltre, la sua superficialità su molti temi non lascia presagire una buona gestione in caso di crisi improvvisa. Senza nessun consigliere in politica estera, il rischio che agisca secondo l’istinto, seguendo l’opinione di votanti e consumatori, non è remoto.

Altri motivi di preoccupazione sono inoltre in agguato: Trump ha ripetutamente dichiarato di volere il petrolio mediorientale come “risarcimento di guerra”. Questo vorrebbe dire tornare agli schemi del colonialismo e di certo non aiuterebbe a diminuire tensioni e conflitti. Oltre a ciò, secondo Trump il nemico dichiarato degli Stati Uniti è la Cina; se il successore del Celeste Impero continua con la sua politica aggressiva nel Pacifico, costruendo basi militari su isole artificiali e rivendicando porzioni di territorio contestate al Giappone e i paesi del Sud-Est asiatico, gli USA di Trump rimarrebbero a guardare il “nemico” mentre fa progressi? La tentazione di rispondere no è alta, visto che la politica estera sotto questo presidente si farebbe probabilmente più aggressiva, nonostante i proclami di minore interventismo.

Una politica estera inconsistente e imprevedibile, persino contraddittoria, che potrebbe diventare realtà fra meno di un anno. Sarebbe un esperimento interessante, se solo non fossero in gioco i destini di persone vere.

FONTI

IlPost

CREDITS

Copertina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.