Imprenditore di successo, personaggio televisivo e, ultimo ma non meno importante, uomo di politica; Donald Trump, da quando si è candidato come presidente degli Stati Uniti, è decisamente uno dei soggetti più discussi e chiacchierati del panorama politico internazionale. Ricco, ricchissimo, per la precisione al secondo posto nella lista dei più ricchi del mondo stilata da Forbes nel 2015, grazie al patrimonio che si è costruito con brillanti investimenti nel campo dell’edilizia e più tardi anche delle telecomunicazioni e dell’energia.
Il suo ingresso nel mondo della politica risale al 2000, quando si ipotizzava che potesse essere il candidato alla Casa Bianca per il partito della Riforma, ma è solo nel 2010 che Donald dichiara pubblicamente, in diretta nazionale, di stare considerando la propria candidatura alle presidenziali del 2012 con i Repubblicani, per poi ritirarsi da questa impresa l’anno successivo.
Torna a farsi vivo nel 2015: annuncia formalmente la sua candidatura alle presidenziali del 2016, questa volta per davvero.
Punto cruciale della sua campagna: i grandi comizi. Cardini della propaganda: gli attacchi alla politica del presidente uscente, il due volte confermato Obama, al quale viene imputata un’eccessiva debolezza nel trattare la minaccia crescente del terrorismo islamico e nel fronteggiare l’impetuoso avanzare della potenza economica cinese nel mercato mondiale, nonché una polemica contro l’Obamacare e l’aumento della pressione fiscale. Le azioni dei governi precedenti “hanno contribuito al declino economico della classe media”, sottolinea.
Insomma l’obbiettivo del nostro Repubblicano è quello di “make America great again”. Per questo il Paese ha bisogno di un grande leader alla guida di un grande popolo e Donald è pronto a proporsi come tale.
Il pacchetto completo della campagna avrebbe tutte le credenziali per trasformare il candidato nell’idolo degli americani e, in effetti, ai sondaggi risulta essere in vantaggio sulla sua rivale Hillary Clinton ed ha anche stra-vinto le primarie repubblicane. Eppure, se si chiede qualche parere su Donald agli americani, la probabilità di ricevere un parere positivo non è molto alta.
L’americano medio pare non essere nemmeno troppo favorevole alla Clinton, ma affermano molti “credo che voterò per Hillary, perché non voglio votare Donald Trump”. Coloro che dichiarano che voteranno Donald Trump, al contrario, ammettono che la loro decisione viene da un’invincibile antipatia nei confronti dell’avversaria.
Inutile mi sembra soffermarsi sulle manifestazioni di dissenso da parte della popolazione di colore, da commenti sarcastici sul suo aspetto a dissenso per la sua linea politica stampato su cartelloni sventolati alle manifestazioni, per non parlare di casi che possono far sorridere, come quello di un senzatetto nelle strade di New York, che ha trovato un modo originale, oltre che eloquente per quanto riguarda la sua opinione e l’opinione dei media, per chiedere qualche spicciolo: “datemi un dollaro e io non voterò per Trump”.
La più ricorrente delle motivazioni di avversità a Donald Trump pare essere la stessa sia per americani sia per italiani: “Ho un po’ paura della sua figura… Sì, mi spaventa.”
Diciamo che il fatto che sia un uomo così potente e il fatto che le sue idee su tematiche relative alla politica internazionale, tra cui per esempio l’immigrazione, non siano note per essere tra le più tolleranti, non sono sicuramente fattori che contribuiscono a far stare tranquilla l’opinione pubblica, ma da lì ai commenti iper-negativi dei cittadini americani che giungono alle nostre orecchie, ce ne passa.
Da qui a novembre c’è tempo per assistere a colpi di scena o ad eventuali ribaltamenti delle aspettative. Insomma, abbiamo ancora qualche mese per sentirne di tutti i colori sul chiacchieratissimo Trump e andare avanti di “se” e di “ma”, di previsioni ed ipotesi in attesa del verdetto.