PARTE I – “Trapianto di testa”
Il neurochirurgo torinese Sergio Canavero, a più riprese, ha dichiarato la fattibilità dell’intervento ribadendo con forza che «non si tratta di fantascienza». Egli infatti, nella clinica universitaria di Harbin (in Cina), eseguì con successo il primo trapianto di testa su una scimmia. Sostenne che «l’animale è sopravvissuto alla procedura senza presentare danni neurologici». Canavero al tempo rivelò che la sua equipe riuscì con successo a ricollegare tutti i vasi sanguigni, tralasciando però di intervenire sul midollo spinale. L’animale è quindi sopravvissuto per 20 ore dopo il trattamento, ma poi è stato soppresso per evitare «inutili sofferenze».
Dopo quest’esperienza, il neurochirurgo presunse una riuscita dell’intervento sull’uomo nel giro di due anni. Ecco infatti che nel 2016 si presenta come promotore dell’impresa, al fianco del chirurgo cinese Xiaoping Ren sempre della Harbin Medical University, il quale si dice pronto ad eseguire l’intervento. Si parla di “trapianto di testa”. Dato che il centro funzionale primario del nostro organismo è il cervello, sarebbe più corretto parlare di un totale trapianto di corpo.
La ghigliottina
Le ricerche sul trapianto hanno una storia lunghissima. In particolare è possibile trovare un interesse sulla “vitalità” di una testa umana separata dal corpo partendo senza dubbio da uno dei più famosi strumenti di morte della storia moderna: la ghigliottina. Erroneamente attribuita a Guillotin, da cui comunque prese il nome, si hanno notizie dell’uso di questo apparecchio di esecuzione fin dal 1307, aggiornato e migliorato di volta in volta per poter garantire al condannato una morte rapida ed infallibile. La famosa macchina viene oggi ricordata in special modo per aver decollato le regali teste del Re di Francia Luigi XVI e della Regina Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena.
«La lama cade, la testa è tagliata in un batter d’occhio, l’uomo non è più. Appena percepisce un rapido soffio d’aria fresca sulla nuca». Ma fu davvero così?
Dal suo frequente utilizzo non si discusse solamente circa la sofferenza inflitta e l’effettiva agonia patita dal condannato a morte. Ma iniziarono a nascere dubbi e curiosità scientifiche riguardo la testa mozzata e la sua effettiva “vitalità” dal momento in cui veniva separata dal resto del corpo.
Dato che le esecuzioni capitali avvenivano nelle pubbliche piazze gremite di gente che accorreva da ogni dove per assistere al macabro spettacolo, si diffusero velocemente leggende e dicerie popolari. Secondo queste dicerie la testa del condannato riusciva a mostrare segni di coscienza come lo sbattere delle ciglia o il movimento della bocca. Un pensiero inquietante e al tempo stesso eccitante richiamava così l’attenzione degli spettatori sulla testa mostrata dalla mano del boia, che si pensava potesse ancora vedere, per gli ultimi istanti di vita, la folla urlante.
La spiegazione scientifica
Scientificamente la spiegazione esiste: si tratta di movimenti dettati dagli impulsi nervosi. Ma prima di trapassare, il cervello effettivamente ha ancora a disposizione fino a un minuto di attività prima di spegnersi del tutto. Gli studiosi e gli scienziati dell’Ottocento iniziarono ad interrogarsi circa la durata della vita di una testa autonoma. Era possibile mantenere in vita un capo ancora cosciente? Se si, come e per quanto tempo?
Attorno al primo decennio dell’Ottocento i progressi scientifici e medici si affinarono. Per la prima volta il fisiologo francese Julian Jean Cesar Legallois immaginò che una testa, separata da un corpo e collegata immediatamente a cannucce irroranti sangue ossigenato per evitare una brusca interruzione di fluidi e ossigeno, avrebbe potuto continuare a funzionare e quindi a vivere.
Agli amanti dell’horror e del genere scientifico sarà sicuramente venuto in mente il film “Il cervello che non voleva morire” del 1962, scritto e diretto dal regista Joseph Green. Il chirurgo Bill Cortner, dopo un incidente automobilistico in cui rimase coinvolta anche la sua fidanzata, decise, per estremo tentativo, di decapitare la sua compagna. Una volta giunto al suo laboratorio, riuscì a tenerla in vita attraverso un complesso sistema di cavi elettrici, espedienti chimici e sieri biologici.
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