I viaggi della speranza
Una barca, il buio e il mare. La partenza sicura ed un arrivo incerto. Le urla, i pianti e la paura. L’acqua, la fame e le lacrime. Sono tanti gli elementi che compongono i viaggi della speranza, quelle traversate costate fin troppo a tante persone, molto più del biglietto per imbarcarsi.
Uomini, donne e bambini che lasciano la propria casa, che scappano, che cercano una vita migliore. E che troppo spesso non riescono nemmeno a vederla da lontano, inabissati nelle profondità del Mediterraneo.
Caritas Ambrosiana: “Sconfinati”
Dovremmo ritenerci fortunati per non dover provare nulla di simile nella vita. Ma la Caritas Ambrosiana ha deciso che forse, anche solo per poco, dovremmo provare ad essere degli “Sconfinati”. Proprio questo è il nome del “gioco di ruolo” che è stato proposto a Fa la cosa giusta!, la fiera del consumo critico svoltasi dal 18 al 20 marzo 2016 a Fieramilanocity. Si tratta di un percorso breve, di un quarto d’ora o poco più.
Ad ogni visitatore viene consegnato un finto passaporto con all’interno dei soldi ed una storia in cui immedesimarsi. Poi deve sopravvivere, contrattando per il costo del biglietti, per i giubbotti di salvataggio, per il cibo e per l’acqua. Deve provare ad arrivare in Europa. E la barca c’è per davvero: piccola, stretta, in una stanza buia e con il mare in tempesta di sottofondo. All’arrivo i finti migranti verranno smistati per provenienza e troveranno dei volontari ad accoglierli.
Federica Di Donato
Federica Di Donato è una di questi volontari nel “gioco di ruolo”, ma che nella vita lavora presso la Cooperativa Sociale Intrecci di Rho. “Intrecci è una cooperativa che fa parte del Consorzio Farsi Prossimo, il braccio operativo di Caritas, che, come fondazione, non può operare concretamente”, ci racconta Federica. Le storie che i visitatori incontrano durante il percorso sono tutte storie vere, di ospiti di alcune cooperative della loro rete. “Allo sbarco i migranti” continua Federica ”così come i partecipanti al percorso, vengono introdotti nei cosiddetti hotspots, dove le forze dell’ordine dovrebbero operare una prima distinzione tra coloro che hanno diritto alla protezione internazionale e chi dev’essere rimpatriato. In pratica però la distinzione avviene per nazionalità.
Ciò va contro ogni trattato internazionale, perché la domanda di richiesta di asilo è personale. Una persona discriminata per i più svariati motivi, politici, religiosi, di genere, e che si sente minacciata, se viene dal paese sbagliato non può neanche provare a fare domanda, viene subito rimpatriata”. Il sistema degli hotspots infatti è molto criticato da organizzazioni quali la stessa Caritas, pochè pregiudica l’effettivo accesso alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale.
Federica ce ne illustra il funzionamento:
La prima valutazione viene effettuata dal personale dell’hotspot, poi si passa ad una commissione di sei membri, con personale prefettizio, di polizia e dell’UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati). Il lavoro si divide quindi tra lo SPRAR, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, e i CAS, i centri di accoglienza straordinari. Ma passa molto tempo, troppo, prima che un profugo sia assegnato ad una struttura. E intanto viene trattato come un numero, come qualcosa da sbrigare in fretta, per liberare posti per chi arriva. Vivono in un’incertezza costante.
Quale obiettivo ha Caritas?
L’obiettivo di Caritas è portare la drammaticità e la sofferenza di tante persone agli occhi di tutti. Per questo Sconfinati non è finito il 20 marzo, ma è diventato un progetto itinerante. La paura, lo smarrimento e l’insicurezza provati durante ”Sconfinati” non sono che una piccola frazione di ciò che moltissimi provano affrontando davvero quel viaggio.
È un modo per sensibilizzare le persone ma soprattutto per informarle realmente. Un’esperienza da vivere, perché, come hanno scritto molti partecipanti, “Siamo tutti sulla stessa barca”.
CREDITS
Immagine 1 ©courtesy of Ilaria Crespi