Esordio molto apprezzato quello del regista Guy Myhill, che con il suo primo lungometraggio, The Goob, a Venezia è riuscito a imporsi all’attenzione della critica.
Non è nuovo a realtà così crude, i suoi lavori precedenti sono tutti documentari ed in questo suo film di finzione si intravede questo taglio particolare, oltre ad una narrazione per immagini che grazie alla fotografia di Simon Tindall riesce a farci percepire la forza dei paesaggi, di quello che è Nordfolk. Gli unici a resistere a quell’afa, oltre agli ortaggi e al bestiame, sono i grezzi abitanti di questa piccola comunità. Goob Taylor è il protagonista.
Vivremo con lui la sua adolescenza e un’estate che rappresenterà la sua transizione da giovane imberbe a uomo che deve assumersi la responsabilità delle proprie scelte e costruirsi un futuro. Per questo ruolo il regista non riusciva a trovare un attore adatto finché, per caso, non incontrò Liam Walpole che era cresciuto nella zona e mai avrebbe pensato di fare l’attore dato che e lavorava in una polleria.Chi meglio di lui avrebbe potuto interpretare il ruolo di un ragazzo smilzo e taciturno, che porta in sé la durezza di quella terra? La scelta fu ovvia.
L’antagonista del sedicenne è Gene Wonack, interpretato dal Sean Harris, anch’esso originario della zona. A lui è affidato il ruolo del bullo di paese autoproclamatosi “re”di quella terra di zucche e cereali, ma è anche il nuovo compagno della madre di Goob, Janet (Sienna Guillory) una donna disposta a sopportare i tradimenti del compagno pur di avere un po’ di pace.
Quella che Myhill ci racconta non è una storia specifica, non è la storia di Goob, lui è solo il protagonista, quello che vive: i litigi con Gene, i primi amori, non sono solamente suoi, appartengono a tutti i ragazzi che questa terra poco conosciuta e dimenticata dalla stessa madre Gran Bretagna cresce con crudeltà, creando uomini come il patrigno che basano la loro vita in base ai loro desideri sessuali e convinti di poter rivendicare diritti e poteri in base alla legge del più forte, che pare l’unica legge in quelle circostanze. Gene non è un pazzo, non è semplicemente un violento frustrato, lui è il prodotto di una sotto cultura inglese. Per tutta la durata della pellicola assisteremo a scene di violenza, più psicologica che fisica e nonostante il nostro stupore, per i protagonisti tutto sembra svolgersi come di consueto e normalmente.
The Goob è un film che mostra senza informare. Il protagonista non ci renderà mai partecipe dei suoi stati d’animo ed i dialoghi all’interno dell’opera sono scarni. Nonostante questa chiusura, anche se, forse proprio grazie a questa percepiamo tutta la pesantezza psicologica che quest’ambiente, che tutti si augurano d’abbandonare, riversa sui suoi abitanti.
Myhill lascia un finale aperto e per sua stessa ammissione sono in cantiere dei sequel “perché c’è ancora tanto da dire di questa terra” di cui il cinema indipendente inglese si sta prendendo cura e che tanto ricorda i paesaggi e i personaggi devastati in Gummo, adottati dall’occhio di Harmony Korine. Nonostante le tematiche non siano nuove ed originali, come le tecniche di ripresa quasi amatoriali, The Goob è un racconto di formazione un po’ amaro, che lascia ben sperare per il futuro del regista, del giovane attore per caso e del suo alter ego Goob.
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