Basta leggere il nome di Ridley Scott nei titoli iniziali per avere un buon presentimento riguardo a questa pellicola.
Uscito nelle sale nel 2010, “Robin Hood” intende riproporre con attenzione le note vicende che hanno portato alla nascita del ladro che “rubava ai ricchi per dare i poveri”.
Siamo nel XII secolo: Robin Longstride (Russel Crowe) combatte da dieci anni come arciere nell’armata di Riccardo Cuor di Leone e la prematura morte del sovrano può essere finalmente l’occasione giusta per tornare nella patria Inghilterra con i suoi fedeli compagni Little John, Alan e Will.
Una serie di imprevedibili vicende legate a tradimenti e complotti, spingono Robin dapprima a Londra come cavaliere sotto mentite spoglie e in seguito lo portano a diventare il paladino di Nottingham e il protettore di Marian Locksley (Cate Blanchett). Allo stesso tempo, l’ingenuo e arrogante Principe Giovanni Senza-Terra (Oscar Isaac) prende il posto del fratello deceduto come Re di Inghilterra, rischiando di portare inesorabilmente il paese verso la povertà e la guerra civile con le sue tasse e i soprusi sulla popolazione.
In uno scenario con lo sfondo storico-bellico dell’Inghilterra duecentesca, Ridley Scott non presenta l’eroe classico che tutti abbiamo conosciuto, ma piuttosto ci mette di fronte ad un giovane Robin e alla sua banda di compagni, a cui ancora non è stato manifestato il sentiero di protettore. I singoli episodi possono essere intesi come gradini da salire lentamente, in una pellicola per niente frettolosa, ma anzi studiata nella scenografia e soprattutto nella qualità fotografica. Scorci ampissimi della foce del Tamigi, il leggendario “Cavallo Bianco” di Westbury, la Torre di Londra (ricostruita) e i boschi inglesi riempiono lo schermo creando una forte illusione e intrattenimento, un’abilità innata di questo regista. La colonna sonora è maestosa e divisa tra vasti orchestrali e canti popolari a suon di mandolino.
Per rimanere in tema di musica, ci sono tuttavia alcune “note dolenti”: la recitazione di alcuni personaggi talvolta è altalenante tra professionalità e banalità. Inoltre, da un punto della trama in poi, la storia prende letteralmente il galoppo, come se Scott si fosse reso conto di aver sprecato troppo tempo creando un prologo completo ed interessante. Questo potrebbe effettivamente lasciare spaesati alcuni spettatori e infastidire soprattutto i fan del regista.