“Game of thrones”: da adattamento letterario a saga (in)dipendente

Il 27 giugno 2016 si è conclusa la sesta stagione di “Game of Thrones“, serie fantasy di enorme successo in onda su HBO, tratta dalla saga letteraria di George RR Martin.

Stagione molto particolare in quanto, questa volta, non segue alcun libro: le vicende dei volumi infatti coincidono con la quinta stagione, interrompendosi poi alla sua fine. Le vicende mostrate quindi in questa ultima stagione non sono state pensate dallo scrittore, bensì dai registi e sceneggiatori David Benioff e D.B. Weiss. Tuttavia, se alcuni fatti sono stati totalmente inaspettati e sconvolgenti, altri sono stati più prevedibili, come se gli sceneggiatori avessero scelto di dare retta ai suggerimenti e alle aspettative dei fan della serie.

I fatti inaspettati e/o sconvolgenti:

  • La distruzione quasi totale della casata Tyrell: forse il capofamiglia Mace e l’affascinante erede Loras mancheranno di meno al pubblico ma il personaggio di Margaery (interpretata da Natalie Dormer) era uno dei più complessi e meglio articolati. Margaery, armata di un’incredibile astuzia e di inquietante quanto straordinaria abilità nel volgere ogni situazione a suo vantaggio, sembrava immortale: pareva che fosse riuscita a circuire persino l’incorruttibile High Sparrow (Jonathan Pryce) per poter ottenere la libertà e riprendere il controllo degli eventi, ma Cersei ha agito prima di lei.
  • La rappresentazione del personaggio di Lyanna Mormont, interpretata da Bella Ramsey: una bambina con un cervello da grande leader, schietta e austera. Una sorprendente e piacevole rivelazione, un’altra bad-ass woman tra quelle già presenti nello show.
  • Meet the Tarlys: nessuno pensava che sarebbero state dedicate alcune scene alla famiglia del simpatico e sensibile Samwell Tarly (John Bradley), nelle quali si mostra il suo difficile rapporto con il padre.
  • La morte di Rickon Stark (Art Parkinson): dopo la traumatica fine della piccola Shireen Baratheon nella quinta stagione, gli spettatori speravano che ormai lo show risparmiasse bambini e ragazzini innocenti che già nei libri sarebbero ancora vivi.
  • La morte di Hodor (Kristian Nairn), amato “omone” buono, con annessa rivelazione del mistero legato alla sua capacità di pronunciare unicamente la parola “hodor”: il collegamento di questo fatto all’intervento di Bran Stark (Isaac Hempstead-Wright) tra passato e presente è stato davvero inaspettato e sconvolgente.

E ora, vediamo quali eventi il pubblico invece si aspettava o aveva addirittura già proposto:

  • La rivelazione delle vere origini di Jon Snow (Kit Harington): tutti da tempo credevano che fosse il figlio di Rhaegar Targaryen e Lyanna Stark (Aisling Franciosi) e un viaggio nel passato fatto da Bran ce lo conferma. Che la settima stagione confermi anche l’altra accreditata teoria del pubblico, e cioè che tra Rhaegar e Lyanna ci fosse vero amore e non si sia trattato di un mero rapimento?
  • La resurrezione di Jon Snow: con Melisandre (Carice van Houten) al Castello Nero, chi non confidava nel ritorno dell’eroe?
  • La morte di Roose Bolton (Michael McEllhaton): da quando aveva annunciato di aspettare un figlio dal secondo matrimonio, era chiaramente prevedibile che il suo primogenito Ramsay (Iwan Rheon) avrebbe provveduto alla cosa, sterminando tutti e rendendosi unico capostipite della casata.
  • La vendetta di Sansa (Sophie Turner): per cinque stagioni le abbiamo visto subire angherie dai peggiori personaggi della serie ma l’avevamo lasciata all’inizio di una fuga da Grande Inverno e dal suo terribile matrimonio con Ramsay. Era quindi inevitabile che in questa sesta stagione anche lei avesse la sua rivincita, riprendendosi la sua casa e uccidendo l’odioso marito.
  • La morte di Walder Frey (David Bradley): quando Arya Stark (Maisie Williams) annuncia di voler tornare a Westeros, è facile intuire quale sarà il suo primo obiettivo.
  • Il successo di Jon Snow: morti Robb e Rickon Stark, assente Bran e con Sansa come unica erede legittima presente, lui è ora l’unico uomo a poter portare avanti la memoria e la causa del Nord. La capitale è infatti ormai nello scompiglio e le altre casate del regno sono impegnate ad allearsi con Daenerys Targaryen (Emilia Clarke) per instaurare un nuovo governo; al Nord quindi non rimane che rivolgersi all’unico eroe rimasto.
  • Sandor Clegane (Rory McCann) è ancora vivo, cosa suggerita dal fatto che non lo si fosse visto  morto. Ci si aspettava quindi di rivederlo, anche se in una sola puntata.
  • Finalmente, Daenerys salpa alla volta di Westeros per conquistare il Trono di Spade: ormai non c’era più nulla che le impedisse di farlo e lo sfacelo della capitale faceva intuire che presto le casate principali sarebbero ricorsi a lei.

Ecco, dunque, come quella che nasce come un adattamento letterario di una saga fantasy diventa uno show indipendente, o dipendente ma da altro: non più dalla penna di George RR Martin ma dai desideri del pubblico. Benioff e Weiss sembrano aver iniziato un gioco tutto loro, basato su una dialettica di soddisfazione e sconvolgimento per gli spettatori. Da una parte, si tratta di una mossa abile perché garantisce l’appagamento del pubblico e lo invoglia a continuare a seguire con più entusiasmo la serie; dall’altra c’è una componente di rischio, in quanto gli eventi potrebbero venire percepiti come prevedibili e, di conseguenza, scontati. Di sicuro, si può dire che “Game of Thrones” non è più solo una serie tv: ora è un vero e proprio gioco, e a giocare non sono solo gli sceneggiatori, ma anche e soprattutto gli spettatori.

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