DISASTRO VENETO

Di Andrea Ancarani

Mercoledì 15 giugno un risparmiatore, ex operaio in pensione, Antonio Bedin, decide di togliersi la vita. Estremo gesto per la profonda sofferenza data dalla perdita dei risparmi di una vita nel rogo di denaro della Banca Popolare di Vicenza. Antonio aveva acquistato azioni della banca vicentina per quasi 500mila euro, oggi ne valgono circa 800.

Ma il pensionato di Montebello Vicentino è solo uno dei 119mila risparmiatori che hanno visto andare in fumo circa 11 miliardi dei propri risparmi a causa del dissesto della Popolare di Vicenza. Le cause del disastro sono molteplici e la magistratura sta ancora indagando. Tuttavia, la banca vicentina rientra in un panorama generale che vede le banche provinciali italiane coinvolte in situazioni simili legate ad una sconsiderata gestione del risparmio e a continue attività finanziarie al limite, se non oltre, il confine della legalità.

Nel caso specifico, le indagini della Finanza sul caso BPV riguarderebbero il periodo precedente al dicembre 2014, prima che la vigilanza sulla Banca Popolare di Vicenza passasse dalla Banca d’Italia al Meccanismo di Vigilanza Unico europeo (MVU). Quest’ultimo riscontrò subito come la BPV avesse indotto i propri soci a sottoscrivere le sue stesse azioni, a fronte di finanziamenti per circa 1 miliardo di euro erogati dalla stessa BPV, senza comunicarli alla Vigilanza. Questa operazione aumentò artificialmente il valore delle azioni che arrivò a sfiorare i 62,5 euro.

A questo proposito la Banca d’Italia aveva cominciato a richiamare la BPV fin dal 2001 su errori compiuti nei metodi di fissazione del prezzo delle azioni che, secondo l’art. 2528 del Codice Civile, compete all’assemblea dei soci, su proposta degli amministratori. La Banca d’Italia aveva infatti rilevato come il processo di valutazione fosse basato su prassi non codificate e valutazioni non rigorose e fosse privo del parere di esperti indipendenti” (Banca d’Italia, 27 ottobre 2015).

Ma non è tutto. Il 21 giugno, nell’ambito delle indagini avviate dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Vicenza nella già avanzata ipotesi di aggiotaggio (ovvero manipolazione del prezzo delle azioni) e ostacolo alla vigilanza, la Guardia di Finanza ha eseguito ulteriori perquisizioni per fare chiarezza. Questa volta, su prestiti concessi a imprenditori e gruppi imprenditoriali senza garanzie adeguate da parte di questi ultimi.

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Occorrerà ancora del tempo per far luce su questo nuovo ramo d’indagine che, ad ora, ha già chiamato in causa il gruppo Marchini (che fa capo all’ex candidato sindaco a Roma), i costruttori pugliesi Degennaro e il gruppo barese Fusillo di Bari. (Il Fatto Quotidiano, 21 giugno 2016)

Nonostante l’ottimo lavoro della Finanza e della magistratura, la matassa che lega interessi, soldi, finanza malata e imprenditori senza scrupoli sembra ancora difficile da dipanare. Tuttavia due sono gli insegnamenti che per adesso si possono trarre da questa vicenda.

In primo luogo BPV è solo uno dei molti casi di mala, e spesso di dubbia legalità, gestione del capitale dei risparmiatori. In Italia casi come quello di Banca Popolare di Vicenza sono sempre più numerosi e dannosi (si pensi a Monte dei Paschi di Siena, Banca Marche, Banca Etruria ecc..).

Il secondo insegnamento è più una triste conseguenza. Il rischio che questi sistemi creino distorsioni nel funzionamento di un’economia concorrenziale con evidenti danni all’economia dei territori e delle comunità che su banche, come BPV, avevano fatto affidamento per le proprie attività, pensioni, prospettive e attese future. Mettere in dubbio la tenuta del sistema bancario italiano, che ora come mai nella storia recente si trova davanti al più impegnativo degli stress test, rischia di creare sfiducia generale con evidenti contraccolpi per il lavoro e l’economia.

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