Come disse Winston Churchill, “Le battaglie sono i segni di interpunzione sulle pagine della storia”. Ci sono virgole, due punti e poi ci sono anche quei punti a capo definitivi che segnano la fine di un’epoca. È questo il caso del 18 giugno 1815, data emblema della battaglia di Waterloo e della fine dell’Impero di Napoleone Bonaparte. Ancor oggi il nome di questa cittadina a sud di Bruxelles è sinonimo di disfatta: se da una parte del campo c’era uno dei comandanti unanimemente riconosciuti tra i più abili della storia militare, perché una simile debacle?
1.“Sarà facile come fare colazione“
Si diceva che Napoleone con l’età avesse gradualmente perso il suo “tocco magico” in fatto di tattica militare, a partire dai tempi della logorante campagna di Spagna (1808-14). Tuttavia, con la fama di condottiero vincente che si era costruito, si era anche abituato a sottovalutare il nemico. Non deve sorprendere che egli definì Lord Wellington, comandante delle truppe anglo-olandesi, un “generale sepoy“, buono solo per le guerre coloniali in India, inadatto alle grandi guerre europee.
In realtà Napoleone avrebbe scoperto a sue spese le abilità del comandante inglese, una vera volpe dal punto di vista tattico. Questa scarsa considerazione del comandante avversario condizionò il piano di battaglia approntato per Waterloo. La strategia prevedeva l’annientamento dell’esercito inglese in un puro scontro frontale: “Sarà facile come far colazione“ fu la previsione di Napoleone alla vigilia.
2. Ligny e Quatre-Bras: ordini confusi
Gli eserciti alleati inglese e prussiano erano forti di circa 160 000 uomini in totale, mentre le forze dell’Armée du Nord francese ammontavano a 110 000 unità. Napoleone aveva una sola soluzione: affrontare e battere separatamente ciascuno degli eserciti alleati. Il tentativo di tagliarli fuori definitivamente si rivelò fallimentare al termine delle battaglie del 16 giugno a Ligny e a Quatre-Bras, rispettivamente contro prussiani e inglesi.
Le truppe prussiane, per quanto duramente provate dalla sconfitta, ripiegarono su Wavre, a 15 km dal campo di battaglia di Waterloo, raggiungibile in una giornata di marcia. Inoltre, gli ordini di Napoleone, che affrontava di persona i prussiani, e del suo luogotenente, il maresciallo Ney, impegnato a Quatre-Bras contro Wellington, furono estremamente contraddittori. A farne le spese in maniera decisiva fu un intero corpo d’armata di 20 000 uomini, che vagò per l’intera giornata tra i due campi di battaglia senza essere impiegato.
3. Maltempo e pigrizia
La giornata del 17 giugno trascorse fondamentalmente in schermaglie. L’esercito inglese andava ritirandosi a nord sulla strada verso Bruxelles, a sud della cittadina di Waterloo. I francesi tentarono di inseguirli, ma furono fermati dal maltempo che inzuppò i campi. La mattina seguente il terreno era fangoso ai limiti dell’impraticabilità e di fatto inibiva una delle armi più temibili dell’artiglieria francese: le granate a rimbalzo, che nel melmoso terreno belga trovavano un nemico insuperabile. Ben riparate dal fuoco dei cannoni nemici dietro le creste delle colline del Brabante, le truppe inglesi attendevano l’inizio dell’offensiva francese, avviata – per disposizione di Napoleone – solo alle ore 11.30 di mattina. Un ritardo con conseguenze non da poco nell’economia della battaglia.
4. Grouchy e i prussiani
Napoleone si aspettava di combattere una battaglia di annientamento contro l’armata di Wellington. L’idea che le truppe prussiane battute a Ligny potessero in qualche modo essere ancora in zona e costituire un pericolo, non lo sfiorava più di tanto. Egli aveva comunque assegnato al maresciallo Emmanuel Grouchy, alla testa di 25 000 uomini, il compito di inseguire le truppe del feldmaresciallo prussiano Gebhard Blücher. Grouchy impiegò più di mezza giornata durante il 17 giugno a capire che i prussiani si stavano ritirando a nord-est verso Wavre e non verso le loro basi di Namur a sud-est. Non appena fiutò la situazione inviò un dispaccio con una richiesta di istruzioni.
La risposta di Napoleone fu ambigua: da una parte le truppe di Grouchy dovevano impegnare i prussiani a Wavre – se erano veramente lì – e nel contempo occuparsi del grosso dell’armata schierato a Waterloo. Tale risposta fu vergata solamente 6 ore dopo l’arrivo del corriere di Grouchy al campo di Napoleone, ormai alla mattina del 18 giugno. Oltre ad essere ambigua, la risposta era ormai tardiva: Grouchy si era già deciso ad attaccare i prussiani a Wavre, dove trovo l’accanita resistenza di un corpo di retroguardia prussiano. Quello che Grouchy non sapeva, era che il resto dell’esercito prussiano era ormai già in marcia per Waterloo.
5. “Della fanteria! Dove volete che la prenda? Che la fabbrichi?”
La presunzione di poter vincere con facilità lo scontro fece propendere Napoleone per affidare l’esecuzione del piano di battaglia al suo fido luogotenente, il maresciallo Michel Ney, uomo leale quanto impulsivo. Questi, dopo alterne fortune nella fase dei combattimenti, credette di notare un momento di sbandamento nello schieramento alleato. Decise allora di sua iniziativa di lanciare la cavalleria pesante francese alla carica. Frenata dal terreno ostile, la cavalleria francese raggiunse la fanteria alleata solo quando essa si era già potuta schierare in impenetrabili quadrati.
Due ore dopo l’inizio delle cariche di cavallerie, i primi contingenti prussiani attaccavano il fianco destro francese e minacciavano l’accerchiamento dell’Armée du Nord. Ney decise allora di lanciare un disperato attacco, questa volta coordinando fanteria, artiglieria e cavalleria. Ney si trovò ad un passo dal successo, sfondando il centro dello schieramento inglese. Quando si rese conto della situazione, mandò un corriere per chiedere rinforzi per l’assalto finale. La risposta di Napoleone fu gelida: “Della fanteria! Dove volete che la prenda? Che la fabbrichi?“
Epilogo
Napoleone aveva in realtà a disposizione la Guardia Imperiale, che preferì però non impiegare, per difendere il fianco destro dall’arrivo dei prussiani. Solo un’ora più tardi, intorno alle 7, in un tentativo disperato egli lanciò gli ultimi battaglioni di fedelissimi della Vecchia Guardia contro lo schieramento alleato. Alla vista del fallito attacco, le parole di terrore “la Garde recule” (la guardia si ritira) si diffusero per tutto lo schieramento, determinando il “fuggi fuggi” generale dell’esercito francese, aggredito alle spalle e di lato dai prussiani.
Gli unici reparti a non darsi alla rotta generale furono quelli della Guardia Imperiale: celebre il “La Guardia muore ma non si arrende!” del generale Pierre Cambronne, passato alla storia per una parola ben più colorita. Napoleone stesso fu costretto a fuggire a cavallo, abbandonando la carrozza imperiale, per non essere catturato dai prussiani di quel Blücher, “Alte Vorwärts”, “vecchio avanti”, quell’ultrasettantenne avvezzo all’alcol e al gioco che tanto disprezzava, ma che fu l’uomo che più di tutti pose il punto e a capo per la storia politica e militare di Napoleone Bonaparte a Waterloo.
FONTI
D. Chandler, Waterloo: I cento giorni (Waterloo. The Hundred Days), trad. Pacifico Montanari, Milano, Rizzoli, 1982; Collana SuperBur Saggi, BUR, Milano, 1999.
A. Barbero, Alessandro, La battaglia. Storia di Waterloo, Roma-Bari, Laterza, 2003.