Topos letterario dall’inizio dei tempi, quello del desiderio affonda le proprie radici nell’Età Classica. Derivante dal latino, composto di de e sidus (stella), il termine si potrebbe tradurre con un affascinantissimo “avvertire la mancanza delle stelle”. D’altronde la sua sfaccettatura più nota, quella amorosa, si basa su un’immagine analoga.
Eros è infatti figlio di Poros (l’abbondanza) e Penìa (la povertà): legato al bisogno per natura, ricerca sempre ciò che è bello. Tuttavia spesso l’appagamento del desiderio si nasconde dietro allo stesso; non a caso la Sehnsucht romantica (il “desiderio del desiderio”) si configura come ricerca continua di qualcosa di indefinito nel futuro.
Ma cosa ci spinge a tale ricerca? In contrasto con l’opinione dominante che colloca il desiderio in una relazione lineare tra soggetto e oggetto, René Girard (in “Menzogna romantica e verità romanzesca”) ne identifica l’origine nell’imitazione del desiderio di un altro.
Si viene quindi a creare uno schema triangolare “soggetto-modello-oggetto”, ed il desiderio di ciò che ha l’Altro, presto diventa desiderio di essere l’Altro. Così l’uomo anela a qualcosa di cui ancora non conosce la forma, e la sua brama non sarebbe altro che frutto dell’imitazione.
Tale teoria si applica perfettamente all’annientamento del desiderio dell’età moderna: non più sentimento innato e definito che scaturisce dall’interno, esso diventa facilmente manipolabile.
Ecco che nell’era del consumismo esso segue le orme della Pubblicità e del Marketing, così che non siamo più sicuri di ciò che desideriamo. Siamo lontani dalla visione platonica dell’anima trainata dai due cavalli: ora i desideri sono brevi, illusori, manovrati, oscurati dall’ansia di raggiungerne l’oggetto. Sempre più simili ai piaceri di Epicuro, cadono assieme alle stelle.
“Privato dei sogni e preoccupato solo di ciò che può avere subito, l’homo consumens, che ha sostituito l’homo desiderans, vive solo nel presente”, scrive Carlo Bordoni.
L’attesa, esasperante ed intollerabile, si dilegua bruciata dall’avidità; il corteggiamento, inutile, svanisce. Secondo Massimo Recalcati, invece, l’estinzione del desiderio è da attribuire alla stessa civiltà occidentale, che, mettendo a disposizione di tutti innumerevoli occasioni di Piacere, ne smarrisce l’essenza.
È come se vivessimo nella città di Anastasia di Calvino, che “appare come un tutto in cui nessun desiderio va perduto e di cui tu fai parte, e poiché essa gode tutto quello che tu non godi, a te non resta che abitare questo desiderio ed esserne contento”.
Eppure tali desideri non ci appartengono realmente e la soddisfazione immediata dà luogo ad una felicità solo illusoria. Ce lo spiegava tra i banchi di scuola Schopenhauer, che da un desiderio appagato ne sorge presto un nuovo, giacché non esiste soddisfazione durevole.
Ma le lezioni di filosofia sono ronzii lontani, mentre accecati dalla voglia del possesso puntiamo dritti al sole con le nostre ali di cera. Così facendo siamo noi stessi a spegnere la bellezza delle stelle che, irraggiungibili, brillavano solo nel Desiderium.
CREDITI