Il 12 giugno 2016 a Orlando si contano 49 morti, uccisi per mano del terrorista islamico che ha aperto il fuoco con un fucile d’assalto al noto locale “Pulse”. È il numero di vittime in una sparatoria più alto nella storia degli Stati Uniti d’America. Di appena poche ore prima è la notizia della morte di Christina Grimmie, cantante ventiduenne uccisa dopo un concerto con tre colpi di arma da fuoco nella stessa città della Florida. Due giorni dopo è il turno di Amarillo, Texas, dove un ex dipendente di un Walmart, armato, ha tenuto per diverse ore in ostaggio alcune persone all’interno del locale, fortunatamente senza provocare alcuna vittima.
L’annosa questione circa il commercio delle armi negli Stati Uniti, come prevedibile, è subito tornato al centro del dibattito facendo molto discutere. Ovviamente in buona parte a sproposito.
Oltreoceano è ormai entrata nel vivo la campagna elettorale: i giochi sono virtualmente fatti e sarà corsa a due Donald Trump–Hillary Clinton. Ogni notizia è buona per diventare parte della campagna elettorale. La sparatoria di Orlando non è da meno.
È proprio una frase del candidato repubblicano a fare molto discutere in America, ma anche sulle colonne dei giornali nostrani. Prendendo le distanze dal presidente Obama, che aveva sottolineato la (discutibile) mancanza di correlazione tra la strage perpetrata da Omar Seddique Mateen, americano di origine afghana, ad Orlando, e il terrorismo di matrice islamica, Trump afferma: «Bisogna assicurare che gli americani possano avere i mezzi per difendersi in questa era di terrore».
Più armi insomma.
Felici e contenti di avere trovato qualcosa da scrivere per portare a casa la pagnotta, ecco decine di giornalisti di praticamente tutte le testate accusare il candidato repubblicano di sciacallaggio e di becera campagna elettorale mirata a guadagnare il consenso di una platea che conta una buona rappresentanza della National Rifle Association, la principale associazione dei possessori di armi da fuoco americani.
Se da una parte la storia degli USA è tristemente costellata di stragi e sparatorie dovute in parte anche alla semplicità nel reperire armi, la verità è che quanto il presidente Obama sta cercando di fare è pura utopia. Ciò che buona parte dei commentatori europei e dei fenomeni da tastiera si ostinano a non voler capire è proprio quella componente della cultura americana che rende di fatto molto lontano dalla nostra sensibilità un paese che tendiamo comunque a percepire molto vicino, complice quella stessa cultura di massa entrata di prepotenza nel nostro immaginario fin dal secondo dopoguerra. La libertà dell’individuo è il valore più importante a cui nessun cittadino americano, tradizionalmente piuttosto insofferente ad ogni ingerenza dello Stato, è disposto a rinunciare.
Il discorso che gira intorno alle armi non è infatti differente da quello legato a Obamacare, la riforma sanitaria di Obama, al centro della politica americana negli ultimi sei anni. Una riforma che nella sua formulazione originale avrebbe ridisegnato il Sistema Sanitario statunitense secondo principi di equità espandendo la copertura sanitaria a tutti i cittadini americani. Una direzione che appare indubbiamente auspicabile e condivisibile all’occhio dell’osservatore europeo, italiano in particolare, abituato a una società che su principi di equità e tutela di tutti i cittadini è costruita.
Proprio per questo motivo gli ostacoli e i diversi ricorsi a cui la riforma è andata incontro in questi ultimi anni, fino alla definitiva approvazione in una veste molto più morbida, appaiono incomprensibili, soprattutto se si pensa che lo stesso Partito Democratico del presidente ha in molti casi operato forti opposizioni interne al progetto di Obama.
Il rapporto diretto con i cittadini dei parlamentari americani, infatti, mette il politico nelle condizioni di non potersi esimere dal rappresentare davvero i propri elettori per non mettere a rischio la propria riconferma. L’opposizione bipartisan alla riforma nelle sedi competenti riflette pertanto una contrarietà al riassetto del Sistema Sanitario condivisa e omogenea tra la popolazione. E in un paese in cui l’individuo e la sua assoluta libertà sono il valore fondante della società non poteva essere altrimenti.
Il dibattito in merito al commercio delle armi in atto in questi giorni non è che l’ennesima espressione di questo aspetto della cultura americana. Possedere un’arma è considerato quasi un diritto inalienabile: un diritto all’autodifesa del quale, piaccia o no, la stragrande maggioranza dei cittadini americani non ha nessuna intenzione di privarsi.
Pensare di insultare Donald Trump dipingendolo come anacronistico guerrafondaio significa non avere capito l’America e la sua coerenza di fondo, pur nelle sue mille contraddizioni.
Significa insultare la cultura di un paese che non cambierà oggi e probabilmente neanche domani.
Significa non capire perché Donald Trump vincerà queste elezioni.
CREDITI
Un commento su “La strage di Orlando: perché sulle armi ha ragione Donald Trump”
Articolo interessante che secondo me ci prende in pieno con la mentalitá americana. Una delle contraddizioni che tiravi in ballo potrebbe essere relativa al terrorismo domestico, che la facilitá di reperire un’arma puó solo favorire. E qui voglio vedere l’american omedio come si pone.