L’Universale

di Lucrezia Benedetti

Federico Micali è un regista italiano con una laurea in giurisprudenza ma una sfrenata passione per i documentari e la sua città: Firenze. Nel 2002 ci aveva regalato Genova senza risposte, un breve documentario che con grande onestà intellettuale ci mostra i fatti del G8 senza però prendere una posizione.

Con toni certamente più leggeri e scanzonati il regista ci propone L’Universale, la sua ultima pellicola che ci riporterà negli anni ’70, nel cinema Universale di via Pisana, ovviamente a Firenze.

Il film è un intreccio tra fatti realmente accaduti, leggende fossilizzate negli anni e finzione. L’ultimo elemento è stato utilizzato solo ed esclusivamente per introdurre la storia, intesa nel modo più generale possibile. I protagonisti sono quattro: Tommaso (Francesco Turbanti), Alice (Matilda Anna Ingrid Lutz), Marcello (Robin Mugnaini) e ovviamente l’Universale con tutto il suo pubblico. La vera peculiarità di questo cinema era la sua anima fortemente anarchica composta dagli spettatori che trasformavano la sala nel loro personale palcoscenico con battute nel momento clou del film, canne, alcolici e una Vespa. Leggenda vuole che durante la proiezione di Easy Riders un centauro, forse spinto da uno spirito di emulazione, in sella ad una Vespa Primavera 125 fece irruzione all’interno del cinema, ovviamente fu accolto dalla solita aria goliardica.

Immagine inserita dal revisore

Fatti di questo tipo erano all’ordine del giorno come d’altronde anche titoli di spessore e magari scomodi, come Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, condito dai classici commenti coloriti degli spettatori in sala.
Questo era l’Universale, che ora vive solo nel ricordo dei suoi fedeli amatori, perché nel 1989 venne chiuso e così si archiviò anche un capitolo della storia fiorentina, ma forse anche italiana, quello della cultura sborghesizzata.

Sullo schermo ci vengono raccontate anche le tre vite dei giovani protagonisti. Alice la bella ragazza naif che sperimenta tutto quello che quei tempi avevano da offrire: dalle droghe alla vita nelle comuni. Marcello, il più meditativo e serio dei tre, farà della lotta di classe e del partito la sua vita e verrà assorbito da manifestazioni con i compagni e dalla politica. Tommaso, la voce narrante, non mollerà mai la sua Firenze e seguirà le orme del padre diventando anch’egli proiezionista all’Universale. La sua vita apparentemente monotona e statica sarà in realtà continuamente scossa dalle ondate culturali che proietterà. Da Bergman a Pasolini, passando per i classici film generazionali, il piccolo quartiere fiorentino sarà, a suo modo, lo specchio del mondo e, sulle note dei primi Litfiba e Bandabardò, invidieremo questa realtà così dissacrante verso l’ordine costituito e talmente a sé stante da risultare ancora anacronistica, nonostante il calendario riporti l’anno 2016.

Forse è un bene che l’Universale abbia chiuso, una possibile conversione non l’avrebbe reso quello che è ed avrebbe ferito i suoi clienti più affezionati. In questo modo, anche chi non l’ha vissuto e chi non ama il cinema lo rimpiangerà, perché l’Universale che Micali ci racconta, senza patetismi inutili, ci riporta a quel fermento culturale libero e quotidiano che abbiamo perso nel corso degli anni, che ci ha portati a cinema asettici il cui scopo è l’intrattenimento ed un buon incasso, ma anche a circoli e club dove la cultura pare essere solamente elitaria.

Dovremmo ritrovare un po’ del coraggio che forse aveva quel centauro in Vespa e riprenderci la libertà che era di casa all’Universale.


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