A ventisette anni un musicista non è né giovane, né vecchio artisticamente. Si trova in un limbo dove le pulsioni giovanili si incontrano con l’esigenza di una maturità, a volte imposta dai critici musicali, altre volte tanto agognata dallo stesso artista, che cerca in ogni modo di dimostrare la propria competenza ad un panorama che oggi esalta e domani affonda le speranze di gloria.
James Blake è riuscito perfettamente a imporsi con il suo nuovo lavoro The Colour in Anything. Prodotto dal pluripremiato e apprezzato produttore statunitense Rick Rubin, uno che – tanto per fare qualche nome – ha lavorato con Red Hot Chili Peppers, Run D.M.C., Metallica, Johnny Cash, Shakira e Linkin Park, e con la partecipazione di Justin Vernon dei Bon Iver e di Frank Ocean, il lavoro di James Blake è la perfetta prosecuzione di una carriera tanto breve (dal 2011 ad oggi sono tre gli album pubblicati, con il secondo, Overgrown, del 2013, che lasciava intravedere la via da intraprendere in futuro) quanto già sfavillante e piena di riconoscimenti sia di pubblico che di critica.
La particolarità dell’album è l’approccio.
Non è un semplice album di musica elettronica, con inserti gospel e R&B nelle parti canore – influenzate anche dalla recente collaborazione con Beyoncè: è un album cantautorale. L’enfant prodige inglese (titolo da dividere con il Johnny Cash di Clifton, Jake Bugg, in attesa del suo terzo album) ha arrangiato e scritto le canzoni da solo, suonando gran parte degli strumenti sotto l’attenta guida di Mr. Rubin, che è riuscito a capitalizzare al massimo il talento di Blake, riuscendo a creare un album melodico ma allo stesso tempo carico di momenti pieni di pathos e ansia, dati dai sintetizzatori, che modellano tappeti sonori che avvolgono ed esaltano la voce calda di questo prodigio, come nella traccia numero 7 I Hope My Life (1-800 Mix): 5.40 minuti di perfette melodie vocali e synth su tappeti di drum machine perfettamente studiati per creare un saliscendi di tensione. Magnifica.
Come magnifico è tutto il disco, nessun pezzo è fuori posto.
Tutto trova la sua collocazione nel disegno che James Blake è riuscito a costruire attorno a questo album, che parla di ansie, aspettative tradite, sogni futuri e incertezze di un ventisettenne che si trova a fare i conti con un mondo spietato, fatto di alti e bassi continui.
Il tema dell’alto–basso lo si può ritrovare nella scelta di alternare arrangiamenti elettronici, talvolta ambient, con successivi pezzi R&B solo voce e pianoforte. Emblematico, in questo senso è il trittico Timeless – f.o.r.e.v.e.r. – Put That Away and Talk to Me, dove i due momenti precedentemente elencati si mescolano e creano giochi sonori tanto affascinanti quanto inquietanti – soprattutto nella terza canzone.
Ascoltare per credere.
Come bisogna ascoltare le magnifiche My Willing Heart e Choose Me che conducono maestosamente verso la seconda parte del disco, che non cala assolutamente il tiro già mostrato e che porta alla conclusione con Meet You In The Maze, una canzone totalmente a cappella, che fa perfettamente capire l’abilità vocale di James Blake.
Un disco del genere è cosa rara per tutti.
É un capolavoro assoluto e non vediamo l’ora di poter ascoltare cosa partorirà la mente di questo cantautore atipico, che usa l’elettronica per scrivere canzoni che parlino di se stesso e che – allo stesso tempo – abbiano un respiro universale.
Stiamo parlando della nuova frontiera del cantautorato e, senza dubbio, di uno dei migliori album usciti nel 2016. Sarebbe stato bello vederlo collaborare con David Bowie – altro genio che ci ha lasciati con un album stupendo.
Di sicuro sappiamo che il buon James a ventisette anni ha già collaborato con Brian Eno e che non vediamo l’ora di trovarlo in coppia con uno dei geni musicali contemporanei: Thom Yorke dei Radiohead.
Pezzi Consigliati: Timeless, I Hope My Life (1-800 Mix), My Willing Heart
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