di Martina Difilo
C’era stato un periodo della sua vita in cui mangiava per dimenticare. Un brutto voto, una litigata con la sua migliore amica, i suoi genitori che non la capivano. Erano tutti motivi sufficienti per ingurgitare una quantità di cibo che il suo corpo, alle volte, sembrava non poter sostenere.
Era stata una bambina minuta, magrissima e scattante. Alle soglie dell’adolescenza, cominciò a non riconoscere più quel corpo che stava cambiando, a non sentirlo più suo. Vedeva quelle linee rette che componevano la sua fisicità arrotondarsi, il suo seno cominciava a crescere, il suo sedere tendeva a farsi più tondo. Sentiva continuamente le amiche di sua mamma ripetere che bel fisico avrebbe avuto, una volta che fosse stata una donna. Eppure, quel corpo così diverso a quello cui era abituata, non riusciva a sentirlo suo.
Cominciò quindi questa fase di “spuntini non-stop”; le capitava spesso di svegliarsi nel cuore della notte e sgattaiolare in cucina per mangiare un paio di merendine. Questo corpo non è il mio, non può succedermi nulla di male.
Piano, piano, le amiche di sua madre cominciavano a cambiare la loro opinione, senza però esimersi dall’esprimerla. Solo che non lo facevano più davanti a lei, mettendo in mostra ampi sorrisi. Lo facevano in cucina quando lei non c’era, parlando sottovoce, come se il loro trovarla “sempre più rotondetta” fosse un segreto da custodire. Non sapevano che, rimanendo in salotto a leggere, le avrebbe sentite comunque. Ma non le importava, quello non era il suo corpo e lei si sentiva libera di trattarlo come voleva, senza alcun rispetto, senza sensi di colpa.
In questo modo poi i suoi compagni di classe smisero di mandarle bigliettini per ribadirle quanto fosse bella; lo facevano di continuo e lei si arrabbiava, perché trovavano bello un corpo che non era il suo.
Una volta fatto ingresso al liceo, però, le cose cambiarono. Quel corpo rotondo, frutto di tre anni di odio, cominciò ad essere preso di mira, più che alle medie. A prenderla in giro erano sia i ragazzi che le ragazze della sua classe, che riuscivano a trovare ogni giorno un nuovo soprannome che rimarcasse le sue curve. Si rese conto che quel corpo su cui tanto si era accanita negli ultimi anni era proprio il suo, anche se aveva temporaneamente smesso di riconoscerlo. Cominciò a sentirlo suo e ad odiarlo ancora di più. Ma pentirsi a quel punto non serviva più a nulla.
La presa in giro che più le faceva male, comunque, era quella di Stefania. Erano state amiche alle elementari e alle medie, era con lei negli anni in cui il suo corpo cambiava e non riusciva ad accettarlo. Una volta entrate al liceo, però, Stefania aveva preferito stare con quelli che la prendevano in giro e la loro amicizia si era dimostrata così labile da infrangersi contro il muro del pregiudizio.
Non furono tanto le prese in giro, quanto la delusione datale da quell’amicizia finta, in cui aveva creduto così tanto, a portarla a decidere di smettere di mangiare.
Rinunciare a tutti gli spuntini fu il passo più facile. Il difficile fu trovare così tante scuse da saltare almeno un paio di pasti alla settimana coi suoi genitori, o giustificare le sue porzioni “da uccellino” a cena con fantomatiche merende in realtà mai avvenute.
La fame fu un problema che superò con facilità: era così determinata a dimostrare a Stefania che avrebbero potuto essere di nuovo amiche quando fosse dimagrita, che la fame era l’ultimo dei suoi problemi.
La fase più difficile fu constatare che, nonostante i suoi esigui pasti, il suo corpo non dimagriva molto velocemente. Ci voleva qualcosa di più. Sapeva benissimo che non sarebbe stato possibile non ingerire mai niente, per tutto il giorno, tutto i giorni. Ma più si guardava allo specchio, più ricominciava a sentire quella morsa allo stomaco che le ricordava ogni volta quanto il suo corpo fosse brutto, inadatto, deforme; quanto quelle forme l’avrebbero portata a rimanere sola per tutta la vita. Bisognava fare qualcosa di drastico, ci voleva un cambiamento profondo. Quel giorno cominciarono le prime visite in bagno, chiusa a chiave, con l’acqua del lavandino che scorreva, subito dopo ogni pasto. Ed ogni sera, quando si alzava da tavola, vedeva lo sguardo triste di sua madre, quello cupo di suo padre, che la seguivano fino a quando non imboccava le scale per raggiungere il bagno al piano di sopra.
Il dimagrimento, a quel punto, divenne così rapido da essere evidente ogni giorno di più; ma giorno dopo giorno, non le sembrava mai abbastanza. Lo specchio continuava a restituirle un’immagine che non le piaceva e l’unica soluzione era mangiare sempre meno e vomitare sempre più.
I suoi genitori provarono a parlare più volte, ad affrontare quello che era un problema evidente, ma che lei non faceva altro che negare. “Sto bene, non mi sta succedendo niente, sono solo un po’ dimagrita”, continuava a ripetere come fosse un ritornello, senza nemmeno pensarci. Furono inutili i loro tentativi di convincerla a parlarne con un esperto, qualcuno che potesse aiutarla. Lei non sentiva il bisogno di essere aiutata. Fino alla mattina in cui, durante l’intervallo a scuola, quando finalmente era riuscita a farsi accettare dal Gruppo, ad uscire con loro, perse i sensi. Fu chiamata un’ambulanza, la portarono in ospedale e da lì al ricovero, il passo fu breve. Le sembrò un’ingiustizia: proprio in quel momento, in cui finalmente era riuscita a riavvicinarsi a Stefania e con lei a tutte le persone che prima non facevano altro che prenderla in giro, smise di andare a scuola per stare in un letto d’ospedale, con un’infermiera che la assisteva ad ogni pasto e soprattutto la teneva d’occhio ogni volta che avesse finito di mangiare.
Ma fu grazie a questo ricovero, che conobbe Marta, che si rivelò essere un’amica di quelle vere. La magrezza del corpo di Marta era del tutto simile alla sua: due corpi scheletrici, con poca carne e molte ossa. Ma fu grazie a Marta, al suo esserle amica aldilà del suo aspetto fisico, grasso o magro che fosse, che riuscì a superare quel ricovero e uscire dall’ospedale rigenerata nel fisico, sì, ma sopratutto con una certezza del tutto nuova: che un’amicizia che si ferma di fronte al pregiudizio non è un’amicizia autentica.
Una vera amica vorrà bene a tutti i tuoi chili in più, o in meno, sempre.