In Italia non è facile essere un musicista e vivere della propria arte, ormai è risaputo. Lo è ancora di più, se alla voce “professione” della carta d’identità c’è scritto “cantautore”, visto la lunghissima e floridissima tradizione di artisti del calibro di De André, Guccini, Tenco et similia che – da un lato – ci inorgogliscono, ma che – dall’altro – ci rendono ciechi di fronte alle novità musicali che, appunto, si rifanno al cantautorato. Fortunatamente non è un problema per Niccolò Fabi, che ci regala l’ennesimo album meraviglioso della sua più che ventennale carriera.
Una carriera che, nel tempo, lo ha portato ad incidere ben 8 album di ottima caratura di cui l’ultimo, “Il Padrone della Festa”, è stato composto, arrangiato e registrato assieme agli amici di vecchia data Max Gazzé e Daniele Silvestri.
Fabi-Gazzé-Silvestri. Una possibile risposta italiana al supergruppo Crosby–Stills–Nash & Young che, nonostante le avviatissime carriere soliste, riuscirono nel tempo ad incidere numerosi album in quartetto; speriamo che i tre ci delizino ancora con il seguito de “Il Padrone della Festa”.
Ma ora siamo qua per parlare di “Una Somma di Piccole Cose”, un disco uscito a fine aprile, ma che ha già messo le radici negli stereo di moltissimi italiani. Niccolò Fabi – che non deve dimostrare niente a nessuno, sia chiaro – ha confermato per l’ottava volta di essere un artista eccelso, una sorta di mosca bianca per come riesce ad abbinare ad una scrittura fresca e originale una fortissima vena popolare, che riesce ad arrivare a tutti, nessuno escluso.
Niccolò Fabi è, perciò, la voce di questo paese che sta andando pian piano alla deriva; è la voce dei giovani anche se lui giovane non è più da tempo. Ma li capisce, con il suo sguardo apparentemente sornione che sfoggia sotto i ricci brizzolati: lo sguardo di chi ha perduto qualcuno (la figlia Olivia nel 2010, a causa di una meningite fulminante) ma ha saputo riconquistarsi tutto con gli interessi, affrontando la vita di petto.
Il disco che Fabi ha prodotto è un’opera unitaria di rara bellezza, nel quale si sente forte l’influenza di artisti di caratura internazionale del calibro di Bon Iver e Sufjan Stevens.
Per quanto riguarda l’influenza di Stevens, è notevole come Fabi sia riuscito ad ricreare le atmosfere del cantautore di Detroit, utilizzando anch’egli arrangiamenti scarnissimi, basati – per lo più – sull’uso di chitarre acustiche, pianoforti e leggerissimi inserti elettronici che vadano a ricreare un paesaggio sonoro malinconico dove la voce dipinge storie ordinarie e, tuttavia, così struggenti da emozionare anche il peggior cuore di pietra. Nessuno può rimanere insensibile di fronte ai testi di Niccolò Fabi, proprio nessuno.
Come non si può far altro che concordare con la visione della città e, quindi, della comunità stessa che ci dipinge questo artista in Ha Perso la Città, seconda traccia e primo singolo dell’album. Una comunità corrotta dalla futilità di tutti quelle facilities che non hanno fatto altro che allontanarci da quello che veramente conta: l’umanità, il contatto, la condivisione. Un pezzo che richiama fortemente le riflessioni di Pasolini riguardo lo stesso tema.
Significativo il fatto che sia arrivato a questa conclusione sui rapporti umani dopo un esilio volontario di ben due mesi nelle campagne romane per comporre il disco in questione.
Tra le canzoni che spiccano ci sono anche la title-track che apre questa meravigliosa raccolta di nove pezzi, che scorrono veloci tra melodie vocali azzeccatissime e arrangiamenti tanto semplici quanto perfettamente pensati per non invadere il territorio concesso alla voce avvolgente, ma anche delicata di Fabi.
I due pezzi successivi, ovvero Facciamo Finta e Filosofia Agricola portano dolcemente verso il migliore dell’album: Non Vale Più, dove il cantautore romano dà prova della sua abilità vocale, non tanto in termini di estensione, ma in termini di interpretazione e teatralità della parola. Questa è la canzone del disco che più pare essere sentita dal cantautore stesso, che dà l’anima mentre la suona.
Discorso analogo anche per la successiva Una Mano sugli Occhi, dove l’assenza della chitarra, e la presenza di un unico accompagnamento al piano conferiscono una notevole carica empatica che poi si andrà a ritrovare – quasi identica – nella finale Vince chi Molla.
Come già affermato in precedenza, Niccolò Fabi è un anello di congiunzione tra il vecchio cantautorato e il nuovo. Il cantante romano è colui che può mettere d’accordo le generazioni più mature e le nuove che si approcciano a questo modo di comporre e raccontare storie, perseguendo la raffinatezza della scrittura pur arrivando a quante più persone possibili dimostrando – inoltre – che per avere successo non è necessario parlare dei massimi sistemi del mondo o inserire paroloni dal significato complesso.
A volte per essere grandi basta essere una somma di piccole cose.
Pezzi Consigliati: Ha Perso la Città, Non Vale Più, Una Mano sugli Occhi
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