La musica non è soltanto un’entità astratta, una incorporea Musa: essa nasce dalla concretezza di mani mortali i quali, attraverso le proprie menti, danno consistenza sacra o profana alle melodie.
Vincenzo Bellini, compositore catanese nato nel 1801, è stato uno dei moltissimi artisti che hanno saputo dare vita ad opere musicali dalla bellezza celestiale. Figlio e nipote d’arte, Vincenzo dimostrò ben presto il suo interesse per la musica e appena quattordicenne si trasferì presso il nonno il quale, essendo musicista, notò il suo talento e, attraverso una supplica, il giovane Bellini ottenne una borsa di studio dal Real Collegio Musicale di San Sebastiano (uno degli istituti più prestigiosi). Al fine di perfezionarsi, dopo aver ottenuto la borsa di studio, partì alla volta di Napoli, feconda di talenti, scampando ad una terribile tempesta per mare e quindi ad un tragico naufragio.
Giunto nella soleggiata città campana, divenne presto allievo di Zingarelli, noto compositore, il quale lo spinse allo stile elegante ma senza troppi artifici o abbellimenti, delicato e classico, caratteristica che farà splendere la carriera del giovane. Nel suo percorso conobbe anche l’uomo che sarebbe stato suo fedele amico fino alla morte, Francesco Florimo, condividendo con lui la passione per la musica e le arti in generale, sebbene Francesco fosse più portato alla teoria.
Bellini si dedicò inizialmente alla musica sacra, componendo ad esempio la celebre Dolente immagine, oggi nota principalmente per essere uno spartito per pianoforte e voce. Il testo era ritenuto esser stato scritto dalla donna al tempo amata da Vincenzo, Maddalena Fumaroli, ma la tesi ancora non trova conferma. La storia d’amore tra loro venne infelicemente troncata dalle opposizioni del padre della fanciulla, il quale non vedeva nel mestiere di Bellini un avvenire prospero per la figlia.
Il suo primo grande successo fu l’opera lirica Bianca e Fernando (1826), vicenda di due fratelli vittime di losche trame di potere che poi rovesceranno il tiranno ed usurpatore. Il titolo in seguito, per rispetto al sovrano Ferdinando di Borbone, fu mutato in Bianca e Gernando, e fu rappresentata nel conservatorio come prova di fine anno.
Nel 1827 Domenico Barbaja, famoso impresario del Teatro alla Scala, lo contattò per commissionargli un’opera per il teatro milanese e, sebbene l’occasione fosse quella che poteva dare una svolta alla sua vita, soffrì molto perché dovette dire addio all’amore per Maddalena e la separazione dei due fu così definitiva.
Per il teatro scaligero Bellini compose “Il pirata” e “La straniera”, due drammi sentimentali in cui forze maggiori (politica, sciagura…) soffocavano l’affetto dei giovani amanti protagonisti, forse come specchio e rappresentazione di quell’amore che gli fu negato. Il successo fu tale che la critica incoronò il compositore catanese come l’unico in grado di contrastare quel gigante musicale che era Gioacchino Rossini grazie ad uno stile personale ma dalla bellezza eterea.
Sempre per Milano egli compose due capolavori: Norma e La sonnambula, entrambe nel 1831 ma dalle trame completamente opposte: il primo un dramma ambientato nella Gallia ai tempi dell’Impero romano e il secondo una vicenda romantica in un villaggio svizzero.
Vincenzo però vide la sua fortuna brillare nella capitale francese dove poté conoscere personalità culturali di spicco, come ad esempio Chopin e apprese nuove sfumature e tecniche per arricchire il suo linguaggio musicale pur restando fedele al suo stile. Ispirato, compose molte romanze da camera ma ciò non gli impedì di lavorare su un’altra opera lirica, quella che purtroppo sarebbe stata ricordata come l’ultima: I puritani, rappresentata al Théâtre Italien di Parigi, luogo deputato a recite non solo di prosa ma anche musicali.
Secondo la teoria comunemente nota, la promettente vita di Vincenzo Bellini fu stroncata da un’infezione intestinale che a soli trentaquattro anni lo condusse alla tomba, quest’ultima eretta nel famoso cimitero degli artisti Pére Lachaise; vi rimase per oltre quarant’anni, quando la sua salma fu traslata in seguito nel Duomo di Catania, città che aveva dato i natali a un cherubino della musica.
Il suo lascito immortale comprende dieci opere liriche, decine di arie, sinfonie, composizioni da camera e tanta musica sacra. Ancora oggi non possono fare a meno di farci credere di essere un po’ in paradiso talmente è raffinata e soave.