In strada o in tv o sui giornali, o ancora in quella particolare forma di piazza non reale né illusoria che è internet, dove è possibile imbattersi tanto in comizi quanto in vani borbottii razionalmente disarticolati, non è raro trovare voci levate in difesa di luoghi retorici, oppure di valori più o meno comuni, apparentemente condivisibili: frasi che spesso non differiscono molto dagli slogan, se non, forse, per la lunghezza. Di esperienze simili in tempo di campagna elettorale, o di chiamata alle urne di altro tipo, si fa ampia messe. Fra un referendum e l’altro, ad esempio, l’afflato civile di piglio popolare e democratico gonfia le vele della passione retorica; e, oltre alle discussioni sull’oggetto del voto imbandite per l’occasione, difficilmente il banchetto dialettico evita di gustare il suo piatto prediletto: i discorsi sui maggiori, se non addirittura massimi, sistemi, e quindi, nella fattispecie, sullo strumento del referendum.
È un classico, infatti, che si veda nel referendum, che è una possibilità concessa alla cittadinanza di esprimere non la propria opinione, ma un assenso o un diniego in risposta a una domanda posta da altri, una garanzia di democrazia. In effetti, questo è abbastanza vero, almeno dal punto di vista formale. Tuttavia, la forma delle istituzioni tende spesso a essere specchio di una società, reale o ideale, a seconda dei casi: sotto questo rispetto, il caso italiano non necessita di commenti. Ma una struttura, si sa, senza contenuto non è che scheletro. Così è il referendum, e così sono tutte le altre garanzie di democrazia, vere o presunte.
È nell’assenza di opinione pubblica autentica che si consuma il deperimento della democrazia, che condanna la consultazione popolare a plebiscito; che fa di una domanda una semplice decisione da ratificare. La larva della democrazia diretta non è che un gioco di ombre, quando i giochi di forze di una società rendono impossibile il corretto sviluppo della democrazia indiretta. Senza opinione pubblica (e a riguardo si veda Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica), senza dibattito critico lucidamente e razionalmente condotto, le apparizioni fortunatamente sporadiche di democrazia diretta non sono che avallo di oligarchie mascherate, e la decisione popolare non diventa altro che consenso da annona, e spregevole leva politica strumentale.
L’obiettivo di una società realmente democratica deve essere quello di arrivare a non avere bisogno di democrazia diretta, se non in casi realmente eccezionali; e, qualora ne avesse bisogno, il peso di un’opinione davvero pubblica dovrebbe essere tale da influenzare l’elaborazione del quesito referendario. La democrazia non sta nel dare la risposta, ma nel porre la domanda, e nel dibattito critico, non retorico.