Quasi impossibile pensare di poterselo godere in sala, sul maxi schermo, con un odore di granoturco scaldato che ci circonda. Vergine Giurata, omonima trasposizione cinematografica del libro di Elvira Dones, nonostante i commenti positivi ricevuti da critica e pubblico, non è stato così apprezzato dalle sale cinematografiche ed è rimasto nell’ombra come del resto le sue protagoniste in tutti questi anni.
Il tema non è certo dei più consueti, anzi, Laura Bispuri con questa sua prima opera vuole farci conoscere un’Albania arcaica, ed una realtà che è arrivata sino ai giorni nostri: le burnesha, cioè le vergini giurate. Sono donne che rinunciano alla loro femminilità votando eterna verginità per indossare abiti da uomo ed acquistarne genere e diritti che ne conseguono davanti al clan. Capelli rasati, seno fasciato, fucile in spalla e niente che possa ricordare in loro quello che una volta era il corpo di una donna, se non il loro forte spirito.
Nonostante la lontananza dai nostri costumi, questa è una storia attuale, ambientata tra Albania, Kosovo ed Italia. Le protagoniste sono due ragazze, che diventeranno donne facendo scelte diverse, rispettando o meno il kanun un codice consuetudinario albanese ancora in uso nelle zone montane. Hana è un’orfana che ha perso ogni cosa e viene trovata e adottata da Gjergj, padre di Lila, ragazza un po’ remissiva, ma che vuole essere libera di decidere del proprio destino. La famiglia adottiva accoglierà e curerà Hana come se fosse loro figlia, la madre ogni sera, prima di andare a dormire, ricorderà alle ragazze cosa può o non può fare una donna albanese, spiegherà le leggi del kunan come fosse un racconto per la buonanotte. Le due ragazze hanno la stessa età, ma un temperamento notevolmente diverso, che all’età del matrimonio e davanti ad un destino segnato si manifesterà svelando il vero temperamento delle due.
Hana che nel periodo adulto è interpretato dalla bravissima Alba Rohrwacher, è una guerriera che non accetta il trattamento vessatorio a cui le donne del villaggio sono sottoposte. Lei non ha bisogno di sposarsi per cavarsela o scegliere della propria vita, lei è in grado di fare tutto questo da sola e per questo e perché non esistono eredi maschi all’interno della famiglia adottiva, sceglierà di diventare una vergine giurata, giurare davanti agli anziani, tagliarsi i capelli e rinunciare alla sua femminilità ed al suo nome, diventando così per tutti Mark edottenendo privilegi e rispetto. Meno riottosa e legata alla tradizione Lila, interpretata da Flonja Kodhelinon, è della stessa opinione di sua sorella adottiva e nonostante rifiuti fermamente anche lei il trattamento riservato alle donne all’interno della loro villaggio, non ha intenzione di diventare una vergine giurata e decide di scappare in Italia con il fidanzato per coronare il loro sogno d’amore. Mark non si capaciterà mai di un modo di vivere diverso da quello della sua comunità, faticherà ad abbandonare le sue montagne che tanto ama ma, per questioni famigliari e di onore, dopo tanti anni ritroverà Lila, con una vita diametralmente opposta alla sua, ma con i ricordi della loro terra ancora nel cuore. Quasi come se fossero tornate ragazzine, in Mark sboccerà la curiosità verso il sesso e l’amore, affioreranno in lei domande come in un adolescente nel periodo della pubertà e in qualche modo, si riscoprirà donna, e ritroverà Hana, che aveva abbandonato da qualche parte in lei.
I luoghi in cui è stato girato il film, le montagne dell’Albania settentrionale, sono ruvide come i loro abitanti, così schivi e chiusi nel loro arcaismo culturale, ma allo stesso tempo impastati e pregni di un folklore ardente che li contraddistingue e li rende immutati al passare degli anni.
Quello di Laura Bispuri è stato un lavoro coraggioso, sia per la tematica trattata che per la scelta linguistica. Infatti la maggior parte dei dialoghi sono in albanese e questo ci regala spaccati di quotidiano oltre a delle sequenze suggestive, legate alla ritualità che il kunan impone per cerimonie come il funerale del vecchio Gjergj e il breve passaggio di una sposa bendata portata al marito sul dorso di un mulo, in modo da non farle vedere la strada e poter scappare da lui per tornare dalla famiglia.
Il film è saturo della cultura del kunan e le inquadrature dal campo lunghissimo, oltre a toglierci il fiato per la bellezza dei luoghi, rendono immobile il tempo. È difficile capire come questa possa essere una storia vera e attuale, ma su quelle montagne così dure da avere leggi proprie il tempo ed il resto del mondo non contano. Il lavoro di ricerca della regista e la collaborazione con alcune vere burnesha hanno reso l’opera, oltre che culturalmente rilevante, quasi celebrativa, colma di profondo rispetto, come i protagonisti e le donne di quelle montagne, apparentemente poveri ai quali però non manca onore e dignità, per loro i due beni più preziosi da possedere.