Jacques Prévert, Pater Noster

Pater Noster
Dalla raccolta Paroles
Padre nostro che sei nei Cieli
Restaci
E noi resteremo sulla terra
Che qualche volta è così carina

Con i suoi misteri di New York
E i suoi misteri di Parigi
Che valgono almeno quello della Trinità
Con il suo piccolo canale a Ourcq
E la sua grande muraglia in Cina
Il suo fiume di Morlaix
E le caramelle alla menta
Con il suo Oceano Pacifico
E le due vasche alla Tuileries
Con i suoi bravi bambini e le cattive persone
Con tutte le meraviglie del mondo
Che sono qui
Semplicemente sulla terra
Offerte a tutti
Sparpagliate
Meravigliate anch’esse della loro meraviglia

E con il coraggio di non riconoscerla
Come una bella ragazza nuda ha il coraggio di non mostrarsi
Con le spaventose sventure del mondo
Che sono legione
Coi legionari
Con i torturatori
Con i padroni di questo mondo
I padroni coi loro sacerdoti i loro traditori la loro soldataglia
Con le stagioni
Con gli anni
Con le belle ragazze con i vecchi bastardi
Con la pagliuzza della miseria a marcire nell’acciaio
Dei cannoni
Jacques Prevert (Neuilly-sur-Seine, 4 Febbrario 1900 – Omonville-la-Petite, 11 Aprile 1977) è stato un poeta e sceneggiatore francese. 

Il padre, nonostante le difficoltà economiche, ha trovato sempre il denaro necessario a portare i suoi figli al cinema e al teatro. Jacques abbandonò la scuola a quindici anni, perché poco incline alla disciplina, iniziando un periodo di lavori saltuari che vedrà una svolta con il servizio militare ad Istanbul. Durante questo periodo conobbe infatti Tanguy e Duhamel, e subito dopo si avvicinò al circolo dei surrealisti, anche se fu una vicinanza intensa ma breve, che si interruppe bruscamente per uno scritto polemico nei confronti di Breton. 

Si avvicinò al palcoscenico teatrale per la collaborazione con il Gruppo Ottobre che lo contatta per scrivere una serie di testi politici che avrebbero dovuto essere presentati anche nelle fabbriche in sciopero 

Nel 1945 pubblicò la sua prima raccolta di poesie Paroles. Nel 1948 rimane in coma per un incidente. Passerà il resto della sua vita a scrivere sceneggiature e a coltivare una nuova passione per l’arte e per il collage. 

La poesia si apre subito con un attacco provocatorio, configurandosi come un’invocazione, una preghiera: Padre nostro, che sei nei cieli. E poi subito dopo una grande smentita, quasi blasfema: “restaci”. “E noi resteremo sulla terra”, che con un poliptoto del verbo restare testimonia che la poesia ha preso il via, il suo corso naturale, la spinta necessaria. Inizia una lode della terra, “che qualche volta è così carina” quasi come fosse un bambino a parlare, che osserva le meraviglie della quotidianità, quelle che per lui sono meraviglie, e per noi diventano abitudini, le “meraviglie sparpagliate”, aggettivo che dà proprio l’idea della dispersione in senso positivo, come è la scoperta di ogni cosa per un bambino, una sorpresa inaspettata. La meraviglia è evidente in luoghi più o meno comuni a chiunque, da cose grandi, Parigi, che vale almeno quanto la Trinità (altra provocazione religiosa), alle cose piccole e personali come le caramelle alla menta. E noi abbiamo il coraggio di non riconoscere questa meraviglia evidente, come una bella ragazza nuda, quasi una dea della natura, ha il coraggio di mostrarsi senza contaminarsi, nonostante la nudità materiale, con le sventure del mondo. È difficile in un mondo come questo, corrotto e pieno di brutture: la legione, i legionari, i torturatori, i padroni di questo mondo, coloro che hanno il potere in ambito ecclesiastico, militare, che sono traditori, le belle ragazze con i vecchi bastardi, la pagliuzza della miseria a marcire nell’acciaio dei cannoni, paglia dei poveri che non viene usata per riscaldare le case o per creare giacigli ma per accendere i cannoni e la guerra. 


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