«Avada Kedavra» è davvero una maledizione?

Tante sono le frasi, le parole, i personaggi, i luoghi magici che J. K. Rowling con la sua opera, sì, una vera e propria opera letteraria, ha fatto entrare nel nostro quotidiano, nella nostra mente e che, in qualche modo, hanno sorpassato quella linea di divisione tra l’opera letteraria e il lettore.
Chi non si è cimentato con la saga di Harry Potter?

Tra tutti i personaggi che vivono in quelle pagine – e che vivono anche in noi – tra tutti i luoghi, certamente noi ricordiamo molto bene gli incantesimi.
Il peggiore di tutti, ma anche il più affascinante, e oscuro, è l’Avada Kedavra.
Nel mondo di Harry Potter, infatti, questo è l’anatema che uccide, la peggiore delle tre Maledizioni Senza Perdono, ciascuna delle quali può far condannare a vita nella prigione di Azkaban un mago che la usi contro un’altra persona, sia esso un uomo o un mago.

È la maledizione che fu usata da Lord Voldemort, il signore oscuro, per uccidere i genitori di Harry, quella con cui cercò di uccidere lo stesso Harry, e quella che fu purtroppo fatale a Cedric Diggory nel quarto libro della saga e, nel susseguirsi dell’opera, a moltissimi altri personaggi.
Sebbene J.K. Rowling si inventi la maggior parte dei suoi incantesimi e maledizioni, la maledizione Avada Kedavra deriva da una frase in un antico linguaggio del Medio Oriente chiamato aramaico.
La frase, abhadda kedhabhra, che significa «sparisci come questa parola», era usata dagli antichi maghi per scacciare le malattie.
Tuttavia non ci sono prove che sia mai stata usata per uccidere.
La frase è probabilmente l’origine della parola magica abracadabra. Ormai questa parola fa parte delle chiacchiere con cui i prestigiatori cercano di affascinare il pubblico, ma un tempo veniva usata dai medici.

Quinto Sereno Sammonico, un medico romano vissuto intorno all’anno 200 d.C., la usava come incantesimo per far sparire la febbre.
Secondo la sua prescrizione, doveva essere scritta undici volte, per esempio su un pezzo di papiro, e ogni volta una lettera «scompariva»:
ABRACADABRA
ABRACADABR
ABRACADAB
ABRACADA
ABRACAD
ABRACA
ABRAC
ABRA
ABR
AB
A

Il paziente doveva tenere il pezzo di papiro legato attorno al collo con un ilo di lino per nove giorni, e poi gettarselo dietro la spalla in un torrente che scorreva a est.
Una volta che l’acqua avesse dissolto le parole, la febbre sarebbe scomparsa.
Dopo Sammonico la popolarità della cura crebbe nei secoli, e fu usata perfino per combattere la Peste Nera. I lettori astuti noteranno che questo rimedio, se non altro, fa trascorrere il tempo.
Dato che molte malattie seguono il loro corso naturale in una settimana o due, probabilmente l’incantesimo non serviva assolutamente a niente.
D’altra parte, non era neanche dannoso!


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