Recensione: Pericle il Nero

Giovedì 12 Maggio, cinema Anteo, sala Duecento: Pericle il Nero.

A salutare gli spettatori della prima ci sono direttamente Riccardo Scamarcio e Stefano Mordini, il regista: «Sono passati ben 3 anni dalla prima volta che abbiamo parlato del film con Stefano e nonostante i momenti difficili, in cui avevamo paura di non riuscire a rendere giustizia all’opera, eccoci qui. Il film è l’unico italiano in concorso a Cannes e questo non può che rendermi molto orgoglioso, avendo prodotto la pellicola; ci tengo a sottolineare che, alla fine, siamo riusciti a non tradire l’intuizione avuta, ossia quella di mettere in scena un’opera eccentrica ed insolita, che inseguisse la sfuggevolezza del personaggio»

Ma ripartiamo dall’inizio; questo Pericle il Nero è la trasposizione cinematografica dell’omonimo libro noir di Giuseppe Ferrandino.

Pericle Scalzone, di mestiere, fa il culo alla gente; in senso letterale. Il suo compito è di svergognare e umiliare tutti quelli che si mettono contro Don Luigi, boss napoletano trasferitosi a Bruxelles e che gestisce tutte le pizzerie della città.

Durante uno dei tanti lavoretti, Pericle commette un grave errore, ferendo a morte la sorella di un altro boss; come ci insegnano tutti gli altri film del genere, l’unica soluzione è scappare per far calmare le acque. Pericle dunque si rifugia a Calais e qui conosce Anastasia (Marina Fois): due solitudini che sono destinate ad incrociarsi. Il resto vi tocca guardarlo nel grande schermo, possibilmente in ottima compagnia, giusto per non sentirvi come il protagonista.

È difficile inquadrare il film in un genere solo; non è gangster, non è un noir, non è nemmeno un film drammatico ma una commistione di tutti. Pericle non è il solito camorrista, Anastasia non è la solita donna d’amore dei film, l’ambientazione non sono le Vele di Scampia, con buona pace dei Savastano, di Conte e di Ciruzzo.

Il piano sequenza che apre la pellicola si collega con quello finale, chiudendo così questo cerchio assurdo; tutto inizia con uno sguardo che, da dentro la macchina, ci mostra l’asettico skyline di Bruxelles. La chiusura è identica, ma questa volta noi siamo fuori dalla vettura e riusciamo ad apprezzare a pieno il finale.

I colori che inondano lo schermo per tutto il film sono cupi, tristi, pesanti e pesti, come la storia che ci passa sotto il naso. Il plumbeo cielo della città belga fa al pari con il tramonto incolore di Calais e, in questa stantia sfumatura di grigio, si erge alta la figura dello Scamarcio attore, capace di rendere giustizia ad un personaggio difficilmente spiegabile e comprensibile.

Andateci al cinema, ne vale la pena.

Ecco a voi il trailer ufficiale:


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