Spesso, quando decido di avventurarmi in terre lontane, affronto il viaggio come un percorso. Un percorso durante il quale mi immergo in paesaggi mozzafiato, mi scontro con realtà sconosciute ed imparo molto. Un cammino talvolta impervio in cui mi ritrovo sola, senza punti d’appoggio. In solitudine devo prendere delle decisioni sapendo che sarò io a pagare tutte le conseguenze delle mie scelte. Il viaggio responsabilizza, fa crescere. L’aspetto più interessante è sicuramente tutto ciò che verte intorno agli incontri: casuali, spontanei, magici.
Sri Lanka, settembre 2015.
Dopo aver camminato ore ed ore tra le sterminate piantagioni di the, incontro lui:
70 anni, viso stanco, sguardo intenso.
Gli prendo la mano e lui, quasi spaventato, sembra non desiderare il contatto.
Insisto.
Le sue mani non sono morbide, non sono curate.
Esse sono il suo strumento per sopravvivere, per lavorare, 12 ore al giorno, sotto il sole incessante che infuoca l’isola. A casa avrà dei figli, o forse no, non posso saperlo; non parla inglese e io non parlo singalese, lui non ne ha colpe, io nemmeno.
Ci fissiamo incessantemente negli occhi. Gli rubo uno scatto, fugace, e ciò non sembra turbarlo minimamente. Forse i suoi occhi non guardavano me. Guardavano oltre.
Non si sarà sicuramente curato di guardare la mia acconciatura o il colore dei miei occhi. Probabilmente si è servito di questi per entrare nella mia anima e cercare di analizzarmi. Gli occhi saranno davvero lo specchio dell’anima?
Non lo posso sapere, è uno dei grandi misteri mai svelati. Ma una cosa è certa: “Negli occhi della gente si vede quello che vedranno, non quello che hanno visto”.
Io nei suoi occhi ho visto la speranza, la forza, la determinazione. Erano belli quegli occhi, così belli che nessuna descrizione renderebbe loro giustizia.
Credits: Copertina by Lo Sbuffo
