Mi saprebbe dire per caso dove vanno le anitre quando il lago gela? Lo sa, per caso?
Tratto da Il giovane Holden, Jerome David Salinger
Iniziare un articolo dedicato al romanzo di formazione citando una frase – tra le più celebri – tratta dall’ Holden di Salinger sarebbe un po’ come iniziare una lezione di letteratura italiana parlando di Dante.
In altri termini: non è mia intenzione quella di banalizzare un discorso ampio e interessante, com’è appunto quello sul romanzo di formazione, semplificando il tutto per renderlo “meno noioso”, ma voglio semplicemente, almeno in questa sede, realizzare un discorso che sia del tutto diretto e privo di stilizzazioni da manuale.
Il romanzo di formazione, in tedesco bildungsroman, racconta la crescita e la maturazione di un personaggio o di un gruppo di personaggi.
In passato lo scopo del romanzo di formazione era quello di promuovere l’integrazione sociale del protagonista, mentre oggi è quello di raccontarne emozioni, sentimenti, progetti, azioni viste nel loro nascere dall’interno.
Nei romanzi di formazione sono generalmente rintracciabili alcune linee di svolgimento comuni, insomma, delle caratteristiche.
Il giovane protagonista, lasciandosi alle spalle l’infanzia, specchio di una situazione di equilibrio iniziale, entra in una dimensione conflittuale con l’ambiente che lo circonda, con la famiglia o con il mondo adulto generale.
Questo conflitto rappresenta una vera e propria rottura di quell’equilibrio iniziale di cui, il personaggio, ne era il riflesso.
Giocano un ruolo decisivo la messa in discussione del sistema di regole morali e comportamentali acquisite durante l’infanzia, la predisposizione ad innamorarsi, l’irrequietezza tipica dell’età, fattori che lo portano ad emanciparsi concretamente o psicologicamente dalla famiglia, a progettare il proprio futuro in modo autonomo ed a compiere nuove esperienze.
Queste ultime assumono per il giovane il valore simbolico di ostacoli da superare ed hanno la funzione di fargli acquisire conoscenza di sé stesso in rapporto agli altri.
Nell’affrontare questi ostacoli il protagonista può incontrare nel proprio percorso di vita – il quale è diventato simbolo di quel percorso narrativo che l’autore offre al fruitore dell’opera –l’opposizione di alcuni e l’aiuto di altri.
Al termine di tali prove, superate più o meno facilmente, il giovane ha compiuto il processo di formazione e riconquistato un nuovo equilibrio: è diventato un adulto consapevole delle insidie del mondo e delle proprie qualità morali.
Può, quindi, inserirsi in società e rivestire con convinzione il ruolo che gli compete – principalmente per mezzo del matrimonio e del lavoro – oppure può non sentirsi adeguato alla realtà che lo circonda e pertanto provare un senso di fallimento che, qualche volta, lo conduce all’autoemarginazione o, in casi estremi, al suicidio.
I primi romanzi di formazione risalgono al Settecento ed includono opere come Il noviziato di Wilhelm Meister (1796) del tedesco Johann Wolfgang Goethe e Tom Jones (1749) dell’inglese Henry Fielding.
Nel 1830 il romanzo di formazione si diffonde anche in Francia grazie a Stendhal.
In Inghilterra gli autori più famosi appartenenti a questo filone sono Charles Dickens con Le avventure di Oliver Twist (1837-1838) e Charlotte Brontë con il meraviglioso romanzo Jane Eyre (1847).
Il romanzo di formazione ha avuto successo ancora durante tutto il ‘900 e ne ha tuttora, a riprova del fatto che il tema dell’iniziazione alla vita continua a destare l’interesse degli scrittori e dei lettori.
Numerosi sono gli autori italiani che si sono cimentati in questo genere. Si ricorda Italo Calvino con il suo primo romanzo, Il sentiero dei nidi di ragno, Alberto Moravia con Gli Indifferenti e Agostino, Umberto Saba con Ernesto, e Ragazzi di Vita, forse il romanzo più celebre, e anche più discusso, di Pier Paolo Pasolini.
In sede conclusiva, possiamo affermare come il romanzo di formazione non sia altro che quell’ulteriore prova che la letteratura, anche questa volta, oggi soprattutto, ci insegna a percorrere quel viaggio chiamato vita.