Una sensazione di totale serenità e naturalezza, si prova quando si fanno due passi di domenica pomeriggio nei pressi delle “Colonne”, in centro Milano. Ragazze e ragazzi seduti su panchine, muretti, a terra. Giovani che chiacchierano, fumano, spesso si dedicano anche alla musica: c’è sempre l’hippie del gruppo con una chitarra a portata di mano. C’è anche chi si da ad un “caffè” che quel giorno appare infinito.
A pochi passi dalla facciata della Basilica di San Lorenzo Maggiore e dai leggeri pensieri che divagano tra le menti dei milanesi, i turisti potrebbero irrigidirsi non appena girato l’angolo.
Nulla di più toccante è presente a Milano: la città conosciuta per il Duomo, la Galleria, i negozi, si fa più seria e riflessiva. Si fa tagliente.
Ci vuole più di un attimo per percepire cosa si sta guardando. Di primo impatto, quello che è chiamato “Il muro delle bambole”, assomiglia ad una sorta di rito da parte di una setta annoiata. Poi no, tutto diventa più chiaro. La città che è nota per essere “- della moda” si mobilita contro la violenza e il femminicidio nel suo stile: celebrità, associazioni del settore, stilisti creano deliziose bambole da affiggere su quel cemento, che malgrado sia non più lungo di quindici metri, appare come interminabile.
In quel momento la candida figura di una bambola di pezza cambia radicalmente.
Prende vita. O per lo meno, ne assume un po’ di chi si ferma a guardare, riflettere o ricordare. Si esita a fotografare: ci si sente paparazzi durante un funerale. E’ un lutto che diventa anche il tuo.
Un elenco di nomi – divisi in tre colonne – di donne violate, che sembra quasi scendere in secondo piano. Poi un invito, fiero ed eletto: “Porta la tua bambola”. E i milanesi si fermano, pensano alla barbie mal messa che hanno a casa, che è perfettamente in tema. Si promettono di contribuire, per rendere quel muro un simbolo di r-esistenza di un silenzioso ma percepibile grido contro l’abuso. Perfettamente in tema con il più canonico, intelligente e pacifico atteggiamento femminile.
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