È capitato a tutti noi di camminare in una sconfinata metropoli, tra centinaia di persone, e imbatterci in venditori ambulanti insistenti nel proporci povera merce. Magari ci è capitato anche di comprare qualcosina e scambiarci qualche battuta… ma la maggior parte delle volte ci si limita ad un “no, grazie”, sfuggendogli con lo sguardo e liquidandoli con freddezza. Poco c’importa dell’amarezza che potrebbero assaporare.
Poi, in un secondo momento, la nostra indifferenza si scioglie in una tenue pietà. Ci avvolge il pensiero di non aver aiutato neanche in minima parte e di non essere sicuramente i soli a comportarsi così. E allora pensiamo tristemente che, dietro a questi tenaci venditori, si nascondono persone esauste, che ne hanno passate tante. Capiamo che la maggior parte sono clandestini, devono lottare contro la vita; non si arrendono, si rialzano e ci riprovano; cercano di integrarsi, pur sollevando il macigno dei pregiudizi insensati della gente che spesso confonde la clandestinità con la criminalità.
Reagire con rabbia non sembra la cosa giusta da fare, ma pare che la letteratura abbia vinto ancora una volta e abbia trovato una via, anche nei bui vicoli ciechi delle esperienze di alcune di queste persone.
A testimoniare i disagi e le difficoltà di questa condizione in bilico, ci sono scrittori che hanno fatto sbocciare una nuova idea: la letteratura migrante. Si è sviluppata a partire dagli anni novanta con scrittori non professionisti che, migrando in Italia, hanno messo per iscritto le loro avventure e le loro nuove consapevolezze. Questi sono detti i “migranti-scrittori”, che esprimono la loro denuncia verso i continui rifiuti, maschere del disprezzo e dell’implicito razzismo. Lo fanno in italiano, grazie alla collaborazione di giornalisti italiani.
Uno scrittore esponente di queste opere è Pap Khouma, autore de Io, venditore di elefanti, pubblicato nel 1990 e firmato con Oreste Pivetta. Senegalese di nascita, il protagonista, riflesso di Khouma, narra degli episodi capitati durante i primi anni da immigrato e venditore ambulante di piccoli elefanti di legno nel cuore delle città. «Deve reprimere dentro di sé ogni reazione, svuotarsi di ogni personalità. Subire con la consapevolezza che questa è l’unica possibilità».
Questo è ciò che ci racconta nelle prime pagine del suo scritto denunciando, di quel periodo della sua vita, il silenzio a cui è stato costretto e ogni tipo di rifiuto incassato. Come non rivedere noi stessi e avvertire in quei racconti una denuncia al nostro cuore di pietra?
Al giorno d’oggi, l’immigrazione e la povertà che ne deriva sono temi roventi che devono ancora trovare i loro capi saldi. Grazie anche alla scrittura e alla forza di cui sono impregnate queste opere, i loro protagonisti affrontano le ostilità che si presentano e non spengono mai il fuoco del loro coraggio. La letteratura può essere mezzo di emancipazione e in questo caso è vero più che mai.