La società attuale, in continuo divenire, porta le tracce del proprio passato, talvolta oscurato ed altre enfatizzato. Luoghi, comportamenti, simboli all’interno della città contemporanea non nascono dal nulla, ma hanno progenitori antichi, anche illustri. Il consumo, la mobilità sociale ed anche il sogno intervengono sulla società, producendo quella che può essere definita la “città postmoderna”.
Da poco ha aperto ad Arese un nuovo shopping center, che, coi suoi oltre 200 negozi, è il centro commerciale più grande d’Italia. Le masse si sono riversate al suo interno in maniera ininterrotta, creando interminabili code e problemi alla viabilità. Questo fenomeno, però, ancora nuovo in Italia, è già da anni molto presente in stati come Canada e Stati Uniti, tanto che anche nel Guinness dei primati c’è una sezione dedicata agli shopping malls e alle loro cifre.
Ma da dove nasce lo shopping mall? Il percorso non è breve e ha inizio nella Parigi di fine ‘700. Proprio qui nascono i passage e le arcades, prime in assoluto le gallerie del Palais Royal, costruite a partire dal 1780. Da semplici crocevia coperti, i passage evolvono fino alle monumentali gallerie di Milano e Napoli di inizio ‘900. Si tratta del trionfo della borghesia, che crea uno spazio tutto suo fatto di luci, specchi, lusso e splendore. È qui che compaiono i caffè, contrapposti ai salotti dei nobili, ed è proprio qui che i borghesi si confrontano, creando una prima opinione pubblica. Non tutti però sono ben accetti: il popolo osserva lo splendore dei passage da fuori, sognando un mondo luminoso. Sono luoghi pubblici, i salotti della città, ma allo stesso tempo privati, perché questi mondi in miniatura dove domina il desiderio sono anche controllabili. Protagonista indiscusso dei passagge è senza dubbio il flâneur, tanto caro a Baudelaire e a Benjamin. È il borghese che esplora il mondo, il nuovo eroe della città, che fa del passage il proprio palcoscenico, che vive nella folla ma non la subisce.
Poco più tardi rispetto ai passage, che dopo la prima guerra mondiale concludono la loro epoca, compaiono i grandi magazzini. Queste “cattedrali del commercio” aprono le porte ad un pubblico più vasto, che oltrepassa l’élite borghese dei caffè parigini. Si tratta di un nuovo ceto medio urbano (o aspirante tale) che, tramite l’acquisto di beni di consumo, cerca di ottenere lo status sociale ad essi collegato. È però un pubblico che non ha il gusto e la competenza del flâneur e deve quindi essere guidato nella disorientante vastità di prodotti offerti dai grandi magazzini. Questi luoghi sono creati appositamente per realizzare qualsiasi desiderio materiale, sollecitandolo ma anche creandolo e tramutandolo subito in domanda. I grandi magazzini diventano i templi del desiderio e rendono tutto il mondo accessibile: in un’epoca in cui il viaggio è ancora raro ed elitario, il mondo viene portato a domicilio. In questa nuova e smisurata realtà, che dà vita alla società del consumo di massa, il flâneur inizia la sua decadenza, diventando un semplice consumatore.
Da queste due realtà, i passage da un lato e i grandi magazzini dall’altro, deriva il contemporaneo shopping mall. Nato nel mondo suburbano come surrogato della città, diventa anche la piazza, lo spazio pubblico dei sobborghi. Con la crisi del modello residenziale suburbano medioborghese degli anni ’70, però, gli shopping malls diventano lo strumento della città per competere proprio con i sobborghi. Si tratta di una città nella città: sono luoghi sicuri e difesi, che riproducono realtà urbane filtrate e ripulite, allontanando le impurità e gli imprevisti. Questi luoghi sono città del sogno e del gioco, mondi artificiali altamente seduttivi grazie alla compressione al loro interno di una moltitudine smisurata di esperienze. Non vi è mai capitato di uscire da un grande centro commerciale senza sacchetti e con un senso di vuoto? Come se vi mancasse qualcosa? Ciò perché, al loro interno, l’esperienza “magica” si può completare solo attraverso l’acquisto, con cui ognuno può far proprio e rendere reale un pezzo del sogno. Diversamente si rischia di restare ai margini dell’illusione. L’acquisto diventa un simbolo, così come i brand acquistati o il nome dello stesso shopping mall. Altrimenti perché i selfies con i sacchetti in bella vista e le localizzazioni sui social? Gli shopping malls sono universi totali e totalizzanti, che raggiungono il loro apice e il loro scopo nel momento in cui il cliente, che entra con un solo obiettivo preciso, diventa acquirente compulsivo. Ed ecco che il flâneur scompare completamente, perché qui tutti possono essere flâneur, tutti possono scoprire ed esplorare la città (o meglio, la città nella città) senza rischi, perché ciò che il borghese ottocentesco doveva immaginare e creare, qui è già pronto e a portata di mano. Sempre che si sia in grado di acquistarlo.