Nella top ten delle paure con cui l’uomo deve da sempre fare i conti, c’è certamente quella dell’ignoto. Niente ci spaventa come ciò che non conosciamo, l’idea di non sapere cosa ci aspetta, di non sapere come affrontarlo.
Ma da dove viene questo disagio comune? Per scoprirne le origini dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, indietro di qualche secolo, per la precisione al medioevo, ad un mondo di cavalieri e servi della gleba, al concetto di foris.
Nella società medievale, ogni gruppo sociale ben delineato e separato dagli altri aveva i suoi compiti, i suoi diritti, le sue caratteristiche; mentre i servi della gleba, contadini poveri e dediti al lavoro manuale nei campi del contado, erano vincolati alla terra del loro padrone e mai avrebbero preso in considerazione l’idea di allontanarsi da essa, i cavalieri, uomini impavidi e sempre in movimento, dediti all’avventura per nobili scopi (o non molto nobili a volte, per dire la verità), erano sempre pronti a spostarsi, a percorrere grandi distanze, attraversando territori sconosciuti.
A fare da limite naturale agli spostamenti dei contadini c’era il foris. “FORIS” è IL TERMINE latino che indica la foresta, ma anche il concetto di forestiero. In questo contesto nasce quell’automatica assimilazione, sopravvissuta per secoli e secoli nell’immaginario comune, tra il bosco e il “non conosciuto, da temere”. Non si poteva sapere quali insidie si nascondessero nella fitta vegetazione, impenetrabile e inaccessibile all’indagine visiva dal di fuori, e di conseguenza, tutti ne diffidavano. Tutti, tranne i più dotati, persone con qualità superiori, gli uomini migliori, più virtuosi: i cavalieri appunto.
Se oggi non ha più senso parlare di contadini e di cavalieri e del loro rapporto con le foreste, non possiamo certo negare che l’attrazione/ timore che proviamo noi uomini nei confronti di ciò che è misterioso, nell’inesplorato, non ci abbia abbandonati.
Ora come allora l’umanità si divide in pavidi e impavidi, personalità brillanti che emergono dalla maggioranza perché non hanno avuto l’ardire di confrontarsi con la novità, pronti a misurarsi con eventuali sfide, alle quali non si sarebbero potuti preparare.
Questa inclinazione a sfidare l’ignoto è un’attitudine, un cocktail di coraggio, curiosità e prontezza, con un pizzico di incoscienza e, ora come allora, coltivarla è la chiave del successo e se la sentite un po’ vostra, non fatevi fermare, abbiate l’ardire di essere cavalieri.
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