A te, mia occulta menade, che sogno perché solo tramite l’isolante della distanza abbiamo potuto toccarci per un breve momento.
Euhoè Bacche
Menade di fuoco,
ti contorci senza linea,
filo morto,
sangue bianco.
Tiade di spine,
di corpo beota,
scagli urla come frecce,
alla carne sorda.
Isola di boschi,
sprezzi il mare,
denti avvolti d’edera,
quando fermerai le tue picche,
il tuo sparagmos avvilente?
Con la mente inondata dal vino infuriavano qua e là le Baccanti. Con grande slancio, gridando “evoè” e scuotendo la testa; alcune scuotevano i tirsi con la cima fiorita, alcune agitavano le membra di un giovenco sbranato, alcune si cingevano di serpi attorcigliate, altre veneravano gli oggetti sacri nascosti dentro le ceste.
Catullo, Carmina, LXIV, 254-255;
Euhoè ‹euoè› interiez. – Variante, rara, di evoè, conforme alla scrittura latina;
Evoè interiez. [dal lat. euoe, e più com. euhoe, gr. εὐοῖ]. – Esclamazione di giubilo delle baccanti in onore di Dioniso, che ebbe perciò l’appellativo di Evio: Viva Bacco, il nostro re, Evoè evoè (Redi); v. anche euhoè.
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